Sabrina Iadarola

Poco più di un anno fa entrava in vigore la legge cosiddetta Gelli-Bianco (legge 8 marzo 2017, n. 24 – «Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie»). L’intento era di contrastare il fenomeno della cosiddetta «medicina difensiva» e ripristinare un’alleanza terapeutica tra medico e paziente, introducendo nel sistema sanitario italiano alcuni punti fermi, con l’affermazione di principio secondo cui «la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività». Le principali innovazioni normative riguardano: ilrisk management, ossia l’attività nelle strutture sanitarie (pubbliche e private) di prevenzione e gestione del rischio clinico (nell’ottica di imparare dagli errori per prevenirli), con il costante monitoraggio dell’attività mediante la raccolta dei dati; l’introduzione di un sistema ufficiale dilinee guida, ossia di raccomandazioni che nella sua attività l’esercente la professione sanitaria è tenuto ad osservare, ma solo se adeguate alla specificità del caso concreto, per essere esonerato da responsabilità penale e civile; la canalizzazione del contenzioso giudiziario verso le strutture sanitarie (sia pubbliche che private), e non verso i medici strutturati che in esse operano, mediante la previsione della responsabilità contrattuale a carico delle prime ed extracontrattuale a carico dei secondi (essendo giuridicamente gli oneri processuali a carico del paziente danneggiato, che intende far valere il proprio diritto al risarcimento, meno gravosi nella responsabilità contrattuale rispetto a quella extracontrattuale); la riduzione della discrezionalità del giudice in sede di liquidazione del danno non patrimoniale; l’assicurazione obbligatoria della responsabilità sanitaria, con la previsione di una azione diretta risarcitoria del paziente danneggiato nei confronti della società assicuratrice e l’istituzione di un Fondo di garanzia.

Ad oggi è ancora presto per poter tirare le somme, alla luce del fatto che, come concordano gran parte degli operatori del diritto, se da un lato si ritiene che la legge Gelli Bianco sia positivamente intervenuta nel tentativo di estirpare il problema della malasanità e della medicina difensiva, dall’altro si tratta di una riforma «monca» poiché mancano decreti attuativi in grado di dare sostanza e contenuto ad alcuni principi che, per il momento, appaiono soltanto enunciati nelle norme. Il punto più critico sembra essere proprio il capitolo «assicurazione». «Come tante leggi approvate negli ultimi anni», commenta Giulio Ponzanelli, partner dello studio legale BonelliErede, «la legge prevedeva un’ampia normazione secondaria, affidata a decreti: soprattutto importanti e molto attesi da tutti erano i decreti in materia assicurativa proprio per la grande fuga dal mercato dellamedical malpracticedelle imprese assicurative per lo squilibrio intervenuto tra il livello dei premi (premiums) e quello dei danni (losses). Una responsabilità che se non riesce ad essere assicurata è una responsabilità molto pericolosa che porta a situazioni di overdeterrence non accettabili». «Inoltre la legge», aggiunge Ponzanelli, «vuole ridurre il livello di contenzioso, facendo precedere la vera fase giudiziale dall’accertamento tecnico preventivo (Atp) cui dovrebbero partecipare le imprese di assicurazione in modo da frenare e/o limitare l’instaurazione di un contenziosospesso caratterizzato da una eccessiva ansia risarcitoria nei confronti della struttura e dell’esercente la professione medica. Questa scelta è sicuramente positiva anche se ad oggi non è ancora possibile avere dati precisi sulla riduzione dell’onda del contenzioso. Un limite della legge è stato l’aver previsto strumenti e rimedi propri della circolazione auto (azione diretta ed altro) in un settore completamente diverso (il paziente non può certo essere equiparato al conducente di un autoveicolo)».

«Le questioni aperte», spiega l’avvocato Elena Felici,partnerdello studio legale Pavia e Ansaldo, «sono state sinora soprattutto di carattere «intertemporale» e hanno riguardato, per esempio, la natura della responsabilità dell’operatore sanitario, qualificata espressamente come extracontrattuale, nei giudizi pendenti all’entrata in vigore della legge ma relativi a fatti antecedenti nonché alcuni aspetti processuali, quali la natura del rito per l’instaurazione del giudizio di merito successivamente alla (obbligatoria) fase preliminare, nei casi in cui la stessa sia stata esperita prima dell’entrata in vigore della legge. Sono proprio alcuni aspetti processual-civilistici a destare le maggiori perplessità applicative. Si pensi alla perentorietà del termine di sei mesi previsto per la conclusione dell’Atp: è evidente che la mole di contenzioso che intasa la maggior parte dei Tribunali non renderà possibile, se non eccezionalmente, il rispetto di questo termine, con conseguenze sul processo che oggi non sono chiare e sui cui inevitabilmente dovremo attendere le posizioni dei tribunali». E, a proposito dell’Accertamento tecnico preventivo l’avvocato Christian Di Mauro dello studio legale Hogan Lovells spiega che «prima di instaurare un giudizio civile per responsabilità medico-sanitaria, il paziente deve attivare una procedura di mediazione o, alternativamente, un procedimento per accertamento tecnico preventivo. Strumenti entrambi finalizzati, nelle intenzioni del legislatore, a favorire la composizione stragiudiziale della lite in modo da ridurre il numero di contenziosi e accelerare i tempi per il risarcimento. Considerato l’obbligo dell’uso preventivo di uno dei due procedimenti, la nuova normativa ha sin da subito comportato un incremento del ricorso all’accertamento tecnico preventivo (più che alla mediazione). Tuttavia, nella prassi, l’accertamento tecnico preventivo porta raramente a una conciliazione della lite. Ciò anche in considerazione del fatto che tale procedimento (così come la mediazione) non si conclude con una condanna. Di conseguenza, molto spesso il paziente, dopo aver infruttuosamente provato uno dei due procedimenti, è comunque costretto ad avviare un giudizio di merito, nell’ambito del quale le parti possono richiedere ulteriori consulenze tecniche. In definitiva, nella maggior parte dei casi cui abbiamo assistito, la nuova normativa, in contrasto con la sua stessa ratio, ha finito per comportare un’inevitabile dilatazione dei tempi, oltre che un incremento dei costi e degli oneri a carico del produttore del farmaco, della struttura sanitaria, del professionista e dello stesso paziente. Una problematica legata a un’attuazione della legge non coerente con gli obbietti perseguiti dalla legge Gelli, i cui effetti potrebbero essere attenuati qualora i giudici, in sede di merito, ritenessero valido l’esito dell’accertamento tecnico preventivo, evitando di disporre ulteriori consulenze».

«È evidenteche il legislatore», commenta l’avvocato Giulia Verga, partner dello studio legale Macchi di Cellere Gangemi, «alla luce dell’esplosione di contenzioso che affligge questo settore, abbia tentato di ridurre le conseguenze di cui il professionista sanitario deve tener conto in virtù di suoi possibili errori. La riforma però, nonostante gli intenti, appare squilibrata». Questo perché «seppure la volontà era quella di sottrarre il professionista medico dalla spirale negativa nella quale è avviluppato (in ambito penale, ad esempio, si è introdotta l’esclusione della punibilità in caso di imperizia, a condizione che siano state rispettate le linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali; in ambito civile si è riconfigurato il regime di responsabilità, da contrattuale ad aquiliana) non si è riusciti a mantenere salda l’alleanza tra assicurazione e assicurato, creando spazi di frattura tra professionista e Compagnia assicurativa. La riforma infatti, ai sensi dell’art. 10, ha introdotto un obbligo assicurativo che è solo presunto». «Con le c.d. Analoghe Misure», prosegue Verga, «si è dato spazio a modelli di ritenzione del rischio che, a loro volta, hanno contribuito a spaccare sempre più il rapporto tra assicurato ed assicuratore, creando aree di non copertura. Basti in proposito pensare ai c.d. Sir, Self Insurance Retention. La creazione di queste aree di ritenzione del rischio ha, nei fatti, dato vita a veri e propri centri di interesse tra le parti. Se infatti, da un lato, l’assicurato ha il vantaggio di scontare un premio inferiore e sostenere costi assicurativi minori, a fronte di una copertura meno estesa, dall’altro l’assicuratore si augura che il sinistro sia contenuto nel suo ammontare, all’interno della soglia di ritenzione dell’assicurato». «L’assicuratore, quindi, confida che l’assicurato, in quanto impegnato con il proprio portafoglio, attuerà una gestione del rischio consapevole, mentre l’assicurato è tentato, qualora il sinistro venga a verificarsi, di attuare una resistenza ad oltranza, sapendo che il suo massimo esborso, ad ogni modo, non supererà la quota della Sir e che il rischio del tardivo pagamento o della sentenza negativa graverà solo sull’assicuratore». E conclude: «La riforma Gelli interviene perciò in modo improprio, posto che l’obbligo di assicurazione previsto, non vale per gli assicuratori che non sono tenuti ad assicurate i professionisti».
«Si tratta di una grande riforma ispirata a valori e obiettivi condivisibili, ma la cui applicazione è fortemente ridimensionata dalla realtà», commenta l’avvocato Mauro Intagliata dello studio legale Rovacchi Intagliata. «La legge ha un suo equilibrio: da un lato tutela il medico ed elimina quasi del tutto che ci siano conseguenze penali, tranne casi rari e gravi, per ricondurre nell’alveo dell’aspetto civilistico tutta la responsabilità medica. Ovviamente le protezioni assicurative dovrebbero garantire maggiormente il medico. Purtroppo ad oggi tante parti della legge sono totalmente disapplicate, soprattutto nella parte che dovrebbe garantire i pazienti o gli aventi diritto al risarcimento di poter agire direttamente nei confronti della compagnia assicurativa della struttura sanitaria così come avviene nel caso del Rca. Il sistema inteso nella sua globalità (attività forense, mercato assicurativo, giurisprudenza) non è ancora pronto a gestire questo cambiamento e l’applicazione di aspetti assicurativi della garanzia diretta obbligatoria come concepita dalla legge Gelli Bianco».

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