Daniele Cirioli
Le pensioni? Sempre più basse e con meno potere d’acquisto. «Speranza di vita» e inflazione, infatti, tagliano costantemente l’assegno di pensione, di per sé già più basso del passato e più lontano da raggiungere. A rimetterci sono (e saranno) soprattutto le giovani generazioni.
Un esempio. Due lavoratori, entrambi di 65 anni d’età e con 100 mila euro di contributi versati per la pensione, il primo andato in pensione nel 2009 e il secondo che ci andrà nel 2019: il primo sta godendosi una pensione di 6.136 euro annui (valore riferito all’anno 2009, quando con 1.000 euro si poteva comprare ciò che oggi si compra con 1.112 euro); il secondo, l’anno prossimo, riceverà una pensione di 5.245 euro annui, cioè 900 euro annui in meno rispetto al primo (sapendo che dovrà spendere 1.112 euro per acquistare cioè che il primo, nel 2009, pagava 1.000 euro).
La cattiva notizia. La notizia non è buona per chi andrà a riposo a partire dal prossimo anno: avrà una pensione annua inferiore, in media, di oltre l’1% rispetto a chi ci è andato o ci andrà quest’anno.
A stabilirlo è stato il dm 15 maggio del ministero del lavoro (vecchio governo) che, pubblicato in G.U. n. 31/2018, ha rideterminato i coefficienti di trasformazione del montante contributivo per il biennio 2019/2020 (sono i coefficienti che, applicati al totale contributi versati durante la vita lavorativa, c.d. «montante contributivo», determinano l’importo annuo di pensione cui si ha diritto).
La novità va tenuta presente anche da chi voleva rimanere qualche mese o anno in più al lavoro; infatti, rinviando il pensionamento da quest’anno al prossimo, anche di un mese, da dicembre a gennaio, costerà fino a 340 euro di minore pensione all’anno, danno che poi conserverà per tutta la vita da pensionato. È questa la quarta revisione, da quando è stata introdotta nell’anno 2009, e tutte le revisioni sono state negative, ciò significando che, ad ogni appuntamento, l’importo della pensione è stato tagliato in qualche misura.
Il calcolo della pensione. Ma perché succede questo? Domanda più che legittima, se si pensa che fino a qualche anno fa, invece, non c’erano calcoli stratosferici (e incomprensibili) per determinare il diritto (quando è possibile mettersi in pensione) e la misura della pensione (cioè l’importo): la pensione era semplicemente una quota della retribuzione.
Oggi, invece, a voler sintetizzare, diritto e misura della pensione sono soggetti ai seguenti indici finanziario-attuariali:

rivalutazione del montante contributivo (viene fatto per anno di accesso alla pensione);

speranza di vita = indice cui è affidato il compito di adeguare l’età di pensionamento;

coefficienti di trasformazione = sono periodicamente aggiornati sulla base di vari fattori statistici;

perequazione delle pensioni = adeguamento annuale delle pensioni all’inflazione, al fine di conservare costante il loro potere di acquisto.
A monte di ciò, va considerato il «regime» di calcolo della pensione (che fissa il «criterio» di calcolo della pensione).
Dopo la riforma Fornero, i lavoratori sono tutti uguali circa questo criterio, perché la riforma ha esteso a tutti il «sistema contributivo», stabilendo, di principio, che con questa regola di calcolo vanno determinate le quote di pensione relative ai contributi versati dal 1° gennaio 2012. Per alcuni ciò non ha segnato una novità perché già appartenenti a tale sistema; si tratta, in particolare:

di quanti hanno cominciato a lavorare dal 1° gennaio 1996 ai quali già si applicava/applica la sola regola contributiva di calcolo della pensione;

di quanti, pur avendo cominciato a lavorare prima del 1° dicembre 1996, al 31 dicembre 1995 avevano maturato meno di 18 anni di contributi, per cui erano/sono destinatari della regola «mista» di calcolo della pensione, ossia «retributiva» per l’anzianità maturata sino al 31 dicembre 1995 e «contributiva» per i periodi successivi.
Per altri, invece, la Fornero è stata una rivoluzione perché s’è trattato di un cambio di criterio a 360 gradi; si tratta, in particolare:

di quanti potevano contare su almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e che, per questo motivo, continuavano a essere destinatari della sola regola «retributiva» di calcolo della pensione: dal 1° gennaio 2012 anche a loro, con riferimento ai contributi versati dalla stessa data, la pensione viene calcolata con la regola contributiva e non più con quella retributiva.
Riassumendo, dal 1° gennaio 2012 la situazione per le tre diverse categorie di soggetti prima individuate è questa:

nessuna novità per quanti hanno cominciato dal 1° gennaio 1996: a loro già si applicava e continua ad applicarsi la sola regola contributiva di calcolo della pensione;

nessuna novità neppure per quanti hanno cominciato a lavorare prima del 1° dicembre 1996 e al 31 dicembre 1995 aveva meno di 18 anni di contributi: erano e continuano ad essere destinatari della regola «mista» di calcolo della pensione, ossia «retributiva» per l’anzianità maturata sino al 31 dicembre 1995 e «contributiva» per i periodi di attività successivi al 1° gennaio 1996;

la novità colpisce, invece, quanti potevano contare su almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e che, per questo motivo, continuavano a essere destinatari della sola regola «retributiva» di calcolo della pensione. Loro, infatti, sono divenuti destinatari del regime «misto» con applicazione del criterio retributivo per le anzianità maturate fino al 31 dicembre 2011 e del criterio contributivo per le anzianità maturate dal 1° gennaio 2012 (le due regole di calcolo, la retributiva e la contributiva, sono illustrate in altra pagina).
Il taglio delle pensioni dal 2019. I coefficienti operano nel «sistema contributivo» delle pensioni (in vigore per tutti dal 2012) e servono a trasformare (convertire) i contributi in pensione.
L’ultima revisione c’è stata a gennaio 2016, dopo quella di gennaio 2013, che ha fissato i coefficienti per il triennio 2016/2018.
Se durante il primo triennio, 2013/2015, a parità di ogni altra condizione, gli assegni sono stati alleggeriti in media di circa il 3% rispetto al triennio precedente (2010/2012), aggiungendosi all’ulteriore taglio del 7%, sempre in media, rispetto al periodo 1996/2009 (prima non c’era alcuna revisione), con il terzo taglio c’è stata l’ulteriore riduzione di circa il 2%, sempre in media, portando a circa l’11% la riduzione, in media, di tutto il periodo (dal 2009 al 2018).
L’anno prossimo, nel 2019, ci sarà questa quarta revisione, sempre negativa, di circa l’1%, portando il calo complessivo del periodo oltre il 12%.
Vie di fuga o scappatoie da questa tagliola non ci sono, se non quella di lavorare di più. La riforma Fornero, per questo, ha agevolato chi rimarrà al lavoro fino alla veneranda età di 70 anni e 7 mesi (oggi e che dal 2019 salirà a 71 anni) cioè al fine di ottenere pensioni più consistenti derivanti dalla permanenza al lavoro per più anni. Per questo, dal prossimo anno entrerà in vigore un nuovo coefficiente: quello legato all’età di 71 anni e che è il più alto di tutti.

Pensioni sempre più magre. Per avere l’idea di come stia fluttuando negli anni la misura della pensione, ecco il calcolo di un’ipotetica pensione annua corrispondente a un montante contributivo di 100 mila euro, a 65 anni d’età:
a) per un pensionamento avvenuto entro il 2009, la pensione annua è stata di 6.136 euro;
b) per un pensionamento avvenuto dal 1° gennaio 2010 al 31 dicembre 2012, la pensione annua è stata di 5.620 euro, quindi 516 euro in meno rispetto al 2009;
c) per un pensionamento avvenuto dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015, la pensione annua è stata di 5.435 euro, ossia 185 euro in meno rispetto al 2012 e 701 euro in meno rispetto al 2009;
d) per un pensionamento avvenuto o che avverrà dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2018, la pensione annua è stata o sarà pari a 5.326 euro, ossia 109 euro in meno rispetto al 2015, 185 euro in meno rispetto al 2012 e 810 in meno rispetto al 2009;
e) per un pensionamento che avverrà dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2020, la pensione annua sarà di 5.245 euro, ossia 81 euro in meno rispetto al 2018, 266 euro in meno rispetto al 2012 e 891 euro in meno rispetto al 2009.
A ciò si aggiunge che, dal 2009 al 2018, c’è stato una riduzione del potere di acquisto di circa l’11% (dati Istat). Così, per due pensionati che hanno avuto un’identica carriera lavorativa, ma sono andati in pensione in epoche diverse, il primo nel 2009 e l’altro che ci andrà nel 2019, risulteranno questi diversi profili: il primo sta godendosi una pensione di 6.136 euro annui (valore riferito all’anno 2009, quando con 100 euro si poteva comprare ciò che oggi si compra con 111 euro); il secondo, l’anno prossimo, riceverà una pensione di 5.245 euro annui, cioè 900 euro annui in meno rispetto al primo (sapendo che dovrà spendere 111 euro per acquistare cioè che il primo, nel 2009, pagava 100 euro).
© Riproduzione riservata

Fonte:
logoitalia oggi7