Parla Mincione all’indomani della presentazione delle liste per l’assemblea. Una politica stand alone non facilita la crescita di una banca nell’attuale contesto di mercato e con il fintech che incombe, dice il finanziere. Il cda? Deve restare a 15: non si cambiano le regole in corsa
di Andrea Montanari

Mancano poco più di 20 giorni all’assemblea straordinaria di Carige , in calendario per giovedì 20 settembre. E ora gli schieramenti sono tutti in campo. Nonostante la presenza di quattro liste, la sfida sarà tra la famiglia Malacalza, che oggi ha il 24% della banca ligure e che è autorizzata dalla Bce a salire fino al 28% e il tandem Volpi-Mincione (al momento sommano il 14,4% ma la Time&Life di Mincione salirà dal 5,4% al 9,9%), sostenuti da Aldo Spinelli (1,1%).
Quindi, in assemblea si andrà a un testa a testa tra Vittorio Malacalza, uno degli uomini più ricchi di Genova (patrimonio superiore al miliardo) e il banchiere (ex Goldman Sachs, Nomura, Citi e Merrill Lynch) che aveva già provato a scalare Bpm . «Numeri alla mano Malacalza parte avvantaggiato, noi per ora inseguiamo. Ovviamente si corre per vincere, ma bisogna anche saper perdere. Per me è già una mezza vittoria essere arrivati a questo punto, visto che comunque avremo esponenti nel nuovo cda della banca. Era quello il mio primo obiettivo: entrare nel board e poter controllare. Ora ho investito soldi e spero di arrivare vicino a Malacalza. Anzi, di superarlo», dice Mincione in questa intervista a MF-Milano Finanza.
Domanda. Come pensate di poter vincere una sfida che ora vi vede sfavoriti nei numeri?
Risposta. Abbiamo creato una cordata di persone che arrivano dal mondo bancario e finanziario, dal mondo reale, che hanno lavorato vicino alla Bce e che conoscono le regole della liturgia bancaria. Ma per dimostrare, anzi confermare, l’apertura al mercato abbiamo coinvolto i piccoli azionisti (Silvio De Fecondo, ndr) e i dipendenti, la vera forza di questa banca, perché lavorano in un contesto non semplice: hanno 70 basis point in più per l’acquisto del denaro e pochi prodotti da vendere.
D. Su quali elementi punterete per provare a sconfiggere Malacalza?
R. Non posso paragonarmi a lui: ha fatto tantissimo nella sua carriera imprenditoriale. Ma io ho vissuto per 20 anni in banca e lavoro con strumenti finanziari da 30 anni. Conosco il settore. E il nostro programma è chiaro.
D. E cosa prevede?
R. È anacronistico continuare a perseguire una politica stand alone, soprattutto con queste condizioni macro-economiche, in un contesto nel quale ci attende un autunno caldo in termini di incremento dei capitali da iniettare nella banca e in uno scenario che vede il fintech crescere in maniera significativa e fare concorrenza al mondo del credito tradizionale.

D. Sta dicendo che Malacalza vuole mantenere lo status quo senza una strategia precisa?
R. Cosa hanno fatto, finora, per far fronte a questa situazione? Hanno venduto tutti gli asset: assicurazioni, credito al consumo, asset management e l’It. E la Bce chiede altre risorse (200 milioni) e manca ancora un piano industriale. Detto questo, noi il programma di Malacalza ancora non lo abbiamo visto.
D. Ma voi volete vendere Carige al miglior offerente?
R. La banca ha 900mila clienti fedeli: un grande asset da valorizzare. Ha presenza territoriale e forza lavoro. Bisogna trovare un partner che sappia coniugare queste qualità. Mantenendo il vessillo di Carige e la sua natura. Dobbiamo arrivare ad avere una fabbrica di prodotti da distribuire dove il costo del denaro è inferiore a quello attuale.
D. Non ha risposto alla domanda: vuole vendere subito?
R. Sposo la linea della Bce, in termini di concentrazioni di mercato. Ma sono azionista e non voglio certo svendere. Se diventerò il presidente di Carige intenderò definire un percorso chiaro e coerente e portare a compimento un’operazione di mercato.
D. Tutti pensano a un suo piano per aggregare la banca con il Banco Bpm . O ci sono altri pretendenti come Ubi?
R. Ora, a un mese dell’assemblea e come ipotesi di scuola vedo le opzioni che cita lei, quindi Banco Bpm e Ubi ben posizionate e affiancate. Ma esistono anche altre opzioni di mercato.
D. Pensa a Bper e Credem ?
R. Sono due nomi che fa lei e che possono avere senso. Ma c’è spazio per delle sorprese. Partendo dal presupposto che Carige resti un brand territoriale si può trovare una fabbrica prodotto che voglia fare alleanze strategiche.
D. E l’opzione straniera?
R. Dopo aver visto Pioneer finire in mani estere (Amundi, ndr), questa idea mi fa stare male. Anche se non ci sono principi stabili e ci sono varie opzioni per il merger. Bisogna studiare quella che economicamente valorizza meglio la banca e che preserva la sua integrità.
D. Lei è favorevole a un taglio del numero dei consiglieri?
R. Se chi ha il 24% o 28% vuole restringere il campo d’azione e tagliare persone secondo me sbaglia strategia, perché si danneggiano le minoranze. Quelle minoranze che noi abbiamo inserito in lista. Comunque, per me il cda deve restare a 15. Non si cambiano le regole in corsa per trarne un vantaggio.
D. Con tale situazione si rischia di avere un cda spaccato: un danno per la banca.
R. Bisogna uscire da questa logica e l’unica cosa che non deve accadere è che si arrivi a una situazione di non governo, senza una maggioranza netta nel board. Anche per questioni regolatorie. Se vincessimo noi cercheremmo da subito il dialogo con la controparte. Con le persone che hanno schierato in lista credo che si possa arrivare a un compromesso.
D. Ha già capito quale sarà la strategia di Volpi?
R. Le dico la verità: non l’ho ancora incontrato.
D. Allora ha avuto rapporti con il banchiere a lui vicino, Fiorani?
R. Non lo conosco. Non l’ho mai incontrato Non ho scambiato con lui né una mail né una telefonata. (riproduzione riservata)

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