L’assicuratore della responsabilità civile, avendo assunto l’obbligo contrattuale di tenere indenne l’assicurato dalle pretese del terzo danneggiato, ha altresì l’obbligo di attivarsi per salvaguardare gli interessi di quello: e dunque costituisce una condotta inadempiente rispetto agli obblighi scaturenti dal contratto di assicurazione, rifiutare una vantaggiosa offerta transattiva proveniente da parte del terzo danneggiato.

Per stabilire quali siano le conseguenze dell’inadempimento dell’assicuratore della responsabilità civile all’obbligo di tenere indenne il proprio assicurato dalle pretese del terzo (c.d. mala gestio propria), occorre distinguere tre ipotesi.

1)       La prima eventualità è che, nonostante la mala gestio e il ritardato adempimento, il massimale resti capiente.

In tal caso ovviamente nulla quaestio: si applicheranno le regole sulla mora nelle obbligazioni di valore (Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995), e nella materia della r.c.a. l’assicuratore potrà andare incontro unicamente alle sanzioni amministrative previste dall’art. 315 cod. ass.

2)      La seconda eventualità è che il massimale, capiente all’epoca dell’illecito, sia divenuto incapiente al momento del pagamento: vuoi per effetto del deprezzamento del denaro, vuoi per effetto della variazione dei criteri di liquidazione del danno.

In tal caso l’assicurato, se l’assicuratore avesse tempestivamente adempiuto l’obbligo indennitario, avrebbe beneficiato di una copertura integrale della propria responsabilità.

Di conseguenza, nel caso di mala gestio, l’assicurato potrà pretendere dall’assicuratore una copertura integrale, senza riguardo alcuno al limite del massimale, giacché l’assicuratore dovrà in tale ipotesi risarcire non il fatto dell’assicurato (per il quale vige il limite del massimale), ma il fatto proprio, e cioè il pregiudizio al diritto di garanzia dell’assicurato, derivato dal colposo ritardo nell’adempimento.

3)      La terza eventualità è che il massimale assicurato già all’epoca del sinistro fosse incapiente.

In tal caso, quand’anche l’assicuratore avesse tempestivamente pagato l’indennizzo, l’assicurato non avrebbe giammai potuto ottenere una copertura integrale della propria responsabilità. Di conseguenza, se l’assicuratore incorre in mala gestio, in questo caso egli sarà tenuto a pagare gli interessi legali (ed eventualmente il maggior danno, ex art. 1224, comma 2, c.c.), sul massimale.

In questi casi inoltre, costituendo il debito dell’assicuratore una obbligazione di valuta, non è possibile cumulare la rivalutazione del massimale e gli interessi, ma delle due l’una: o il danneggiato dimostra di avere patito un maggior danno, cioè un pregiudizio causato dal ritardo nell’adempimento non assorbito dagli interessi legali, e allora avrà diritto al risarcimento di quest’ultimo; ovvero nulla dimostra a tal riguardo, e allora gli spetteranno i soli interessi legali.

Ricorreva dunque la terza ipotesi sopra elencate, e correttamente la Corte d’appello ha stimato il danno da mala gestio limitandosi a rivalutare il massimale.

E infatti, eccedendo il danno la misura del massimale già nel 1977, anche se l’assicuratore avesse pagato il terzo danneggiato illico et immediate, l’assicurato sarebbe comunque rimasto esposto alle pretese risarcitorie per la parte eccedente.

Né, ovviamente, l’assicuratore era tenuto ad accettare una proposta transattiva che, per quanto detto, esigeva il pagamento non solo di una somma eccedente il massimale, ma eccedente anche il massimale rivalutato: ovvero la misura massima dell’indennizzo esigibile dall’assicuratore, quando già al momento del sinistro il massimale sia incapiente.

Corte di Cassazione, VI sez. Civile, ordinanza 19 aprile 2018 n. 9666