La clausola contrattuale con cui viene stabilita la sospensione della copertura assicurativa per un periodo di trenta giorni dopo il pagamento del premio, nella particolare ipotesi in cui la rata venga versata con un ritardo superiore al 90 giorni, non vìola l’art. 1901, comma 2, c.c., giacché tale norma è finalizzata a disciplinare gli effetti dell’inadempimento, non assumendo alcun valore in merito all’alterazione del sinallagma contrattuale.

Tanto in quanto nel nostro ordinamento giuridico non è possibile rinvenire un principio generale che imponga alle parti di elaborare un assetto di interessi in cui le diverse prestazioni abbiano uno stretto rapporto di corrispettività, intesa nella duplice prospettiva economica e giuridica.

Invero l’art. 1901 c.c. si riferisce soltanto agli effetti dell’inadempimento dell’obbligazione di pagamento del premio nascente dal contratto già concluso ed efficace, non alla decorrenza pattizia dell’efficacia del contratto o delle obbligazioni che da esso derivano, che pertanto rimane affidata all’autonomia negoziale delle parti.

In particolare, per quanto qui interessa, il comma 2 della citata norma si limita a prevedere che il mancato pagamento alla scadenza, da parte dell’assicurato, di un premio successivo al primo determina la sospensione della garanzia assicurativa non immediatamente, ma solo dopo il decorso del periodo di tolleranza di quindici giorni, senza nulla stabilire (a differenza del primo comma) in ordine al momento di riattivazione della polizza a seguito di un pagamento successivo.

La norma invocata dal ricorrente, dunque, a differenza di quanto previsto dal comma 1, non impone alcun termine per la riattivazione della polizza dopo il tardivo pagamento del premio o della rata di premio successivo al primo.

Deve conseguentemente ritenersi che, in assenza di diversa previsione normativa (circostanza che consente di escludere anche la sussistenza di una non consentita deroga dell’art. 1901 c.c., comma 2, in violazione dell’art. 1932 c.c., peraltro non invocato dal ricorrente), tale termine può essere liberamente stabilito dalle parti, restando escluso che possa trovare applicazione la disposizione del primo comma del medesimo articolo, la quale, nelle ipotesi di ritardi nelle rate di premio successive alla prima, soccorre esclusivamente in via analogica e solo in assenza di diversa previsione convenzionale.

Al contrario, un’alterazione, liberamente scelta, dell’equilibrio economico è accettata dall’ordinamento, il quale si preoccupa soltanto, da un lato, di salvaguardare la correttezza e buona fede nella fase delle trattative contrattuali (artt. 1337 e 1338 c.c.) o in pendenza della condizione (art. 1358 c.c.) e, dall’altro, di consentire la eliminazione di fattispecie negoziali nelle quali qualche fatto abbia influito negativamente sulla formazione o sullo svolgimento del rapporto contrattuale, ma ciò solo in casi tassativamente determinati, come si evince dalla disciplina degli istituti della rescissione (artt. 1447 e 1448 c.c.) e della risoluzione per eccessiva onerosità (art. 1467 c.c.).

Anche lo squilibrio giuridico tra le parti trova una disciplina circoscritta nel codice civile, come può desumersi dagli artt. 1341 e 1342 c.c., volti a tutelare il contraente debole nell’ambito dei rapporti contrattuali di mercato mediante la prescrizione di un semplice onere formale, qual è la specifica approvazione scritta.

Cassazione civile sez. III, 13/04/2018 n. 9182