Nel caso in cui il contraente abbia stipulato due polizze, a copertura del medesimo rischio di assicurazione contro l’invalidità permanente da malattia, in assenza di un collegamento negoziale tra le due polizze o di previsioni specifiche sulla loro cumulabilità, si è in presenza di due assicurazioni relative al medesimo rischio con quantificazione predeterminata del danno e conseguente operatività del principio indennitario, in virtù del quale l’indennizzo non può mai eccedere il danno effettivamente patito.

Danno che corrisponde all’importo più ampio indicato dall’una delle due polizze.

L’assicurazione contro gli infortuni consiste nel contratto con il quale l’assicuratore, previa corresponsione di un premio, si obbliga al pagamento di una certa somma all’assicurato nel caso di lesione dovuta ad una causa fortuita, violenta ed esterna che ne determini l’inabilità temporanea o l’invalidità permanente;

– questo tipo di assicurazione non è autonomamente disciplinato nel capo XX del libro I, IV del codice civile dedicato alle assicurazioni, il quale dopo aver dettato la disciplina generale sull’assicurazione (sezione I, artt. 1882-1903 c.c.), riserva una specifica disciplina solo alle assicurazioni contro i danni (sezione II, artt. 1904-1918) e alla assicurazione sulla vita (sezione III, artt. 1919-1927);

– conseguentemente, al fine di valutare se, in relazione a una assicurazione sugli infortuni, priva di organica disciplina, sia o meno applicabile una determinata norma dettata per l’assicurazione sulla vita ovvero per l’assicurazione contro i danni, occorre muovere dalla compatibilità e coerenza con tale assicurazione della menzionata disciplina;

– con riferimento in particolare all’art. 1910 c.c., tale norma è espressione del principio indennitario posto dall’art. 1905 c.c., che caratterizza l’assicurazione contro i danni ed è volto a evitare che il contratto di assicurazione si trasformi in fonte di lucro, con indebito arricchimento dell’assicurato e conseguenze pregiudizievoli per le imprese di assicurazione nonché, di riflesso, per l’economia nazionale; da tale osservazione le Sezioni Unite hanno tratto la conseguenza che, ai fini dell’applicabilità della citata norma all’assicurazione contro gli infortuni, è necessario accertare se tale tipo di assicurazione abbia o meno natura indennitaria;

– la risposta positiva a tale quesito è stata raggiunta dalla Suprema Corte in base alla duplice considerazione che la disciplina dell’art. 1916 c.c., concernente il diritto di surrogazione dell’assicuratore, il quale è anch’esso espressione del principio indennitario, è esplicitamente estesa all’assicurazione contro gli infortuni (art. 1916 comma 4, c.c.) e che l’infortunio (non mortale) è sicuramente un evento produttivo di danno per l’assicurato e è quindi partecipe della funzione indennitaria propria dell’assicurazione contro i danni;

– partendo infatti dalla nozione di assicurazione dettata dall’art. 1882, c.c. (l’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana), le Sezioni Unite hanno osservato che tale norma si ricollega alla tradizionale bipartizione delle assicurazioni, riferendosi, nella prima parte, all’assicurazione contro i danni e, nella seconda parte, all’assicurazione sulla vita, e consente di affermare che la prima, in quanto considera il danno prodotto all’assicurato (a esso prodotto) senza ulteriori specificazioni, non è solo assicurazione di cose o patrimoni, ma è suscettiva di ricomprendere anche i danni subiti dalla persona dell’assicurato per effetto di infortunio;

– solo nel caso di infortunio mortale, risulta assai dubbia la vigenza del principio indennitario, analogamente a quanto si sostiene, sia pur non senza contrasti, per l’assicurazione sulla vita, in primo luogo perché non è configurabile un danno patrimoniale da morte nei riguardi dell’assicurato, di qui la diversificazione della disciplina dell’assicurazione contro gli infortuni (quantomeno con riferimento a singole norme, individuate, nella sentenza in discorso, negli artt. 1916 e 1910 c.c.) secondo il tipo di evento, invalidante o mortale, coperto dalla polizza.

Tali principi sono certamente applicabili non solo all’assicurazione contro gli infortuni, ma anche all’assicurazione contro le malattie, in particolare, quando, come nel caso in esame, il rischio assicurato sia costituito dall’invalidità permanente da malattia, ipotesi in tutto assimilabile alla lesione conseguente ad infortunio non mortale, dal quale la prima si differenzia solo perché il danno alla persona è riconducibile ad un evento che trova la sua fonte non già in un fattore causale esterno, ma in un processo morboso interno alla persona stessa.

Deve conseguentemente affermarsi che l’assicurazione contro la malattia rientra nell’ambito dell’assicurazione contro i danni, la quale, come altresì precisato dalle stesse Sezioni Unite non è solo assicurazione di cose o patrimoni, ma è suscettiva di ricomprendere anche i danni subiti dalla persona dell’assicurato per effetto di infortunio, così caratterizzandosi (anche) come assicurazione di persone.

L’invalidità da malattia, dunque, in quanto evento dannoso da indennizzare, va ricondotto al ramo danni e ricade nell’ambito di applicazione del principio indennitario.

All’applicazione del principio indennitario nel caso di assicurazione dell’invalidità da malattia non osta la natura del bene assicurato e la conseguente difficoltà di accertarne l’effettivo valore, atteso che, come precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza del 2002, nel caso di invalidità da malattia (o infortunio), la misura dell’indennizzo è predeterminata dalla polizza, ciò costituendo una modalità di quantificazione delle conseguenze dannose che è prevista anche in materia di assicurazione contro i danni (in relazione alla quale il principio indennitario è espressamente sancito), mediante la c.d. polizza stimata (art. 1908 c.c.).

Si tratta di una valutazione e quantificazione monetaria predeterminata a discrezione dell’assicurato in relazione alla sua specifica situazione, a fronte della quale l’assicuratore è libero di non accettare la proposta, che il contraente deve tenere ferma per quindici giorni ex art. 1887 c.c. proprio per dar modo all’assicuratore di valutare il rischio: in tali ipotesi la valutazione del rischio è indubbiamente più difficoltosa di quella concernente l’apprezzamento del valore di una cosa, ma, osservano ancora le Sezioni Unite del 2002, pur sempre possibile anche in relazione al rischio che una malattia (così come un infortunio) può determinare, nel patrimonio o nella persona, al soggetto che stipula una assicurazione contro tale rischio.

Nel caso in esame, il valore monetario del danno è stato convenzionalmente predeterminato nelle due polizze rispettivamente in Euro 206.582,76 e in Euro 300.000,00.

Ciò posto, in assenza di un collegamento negoziale tra le dette polizze esplicitato nel testo negoziale, ovvero di una qualsivoglia previsione in ordine alla loro cumulabilità o, ancora, di una espressa qualificazione della seconda polizza siccome volta a coprire un rischio suppletivo rispetto a quello già coperto dalla prima, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che si versi in una ipotesi di esistenza di due assicurazioni relative al medesimo rischio, con quantificazione predeterminata del danno e conseguente operatività del principio indennitario, in virtù del quale l’indennizzo non può mai eccedere il danno effettivamente patito; tale danno, nella specie, per quanto sopra precisato, corrisponde necessariamente all’importo più ampio convenzionalmente indicato nella seconda polizza in Euro 300.000,00.

Resta ancora da puntualizzare che l’applicabilità del principio indennitario alla assicurazione contro il rischio malattia non è esclusa dalla circostanza che per tale tipo di assicurazione non possa operare il diritto di surrogazione dell’assicuratore previsto dall’art. 1916, comma 4, c.c., poiché in tale caso, a differenza di quanto avviene nell’assicurazione contro gli infortuni, non potrebbe esserci alcun terzo responsabile contro il quale agire.

In proposito, va osservato in primo luogo che anche nel caso di infortunio può mancare un terzo responsabile, con conseguente inoperatività della surrogazione, atteso che l’infortunio può derivare non solo dal fatto di un terzo, ma anche da eventi accidentali non provocati da alcuno. Peraltro, anche quando sia astrattamente configurabile il diritto di surrogazione, l’assicuratore potrebbe anche rinunciarvi, senza che ciò implichi una diversa individuazione delle norme e dei principi applicabili in tema di assicurazione contro i danni.

In ogni caso, una volta ricondotta al ramo danni l’assicurazione per il rischio invalidità da malattia, per la quale è assente una disciplina specifica, tale assicurazione resta soggetta alla disciplina prevista per quel ramo assicurativo in quanto compatibile, a nulla rilevando l’inapplicabilità di una singola disposizione.

Con specifico riferimento alla surrogazione dell’assicuratore, va osservato che essa non interferisce in alcun modo con il problema dell’esistenza del danno, e quindi col principio indennitario.

Invero, abbia o non abbia l’assicuratore la possibilità di esercitare il diritto alla surroga, resta fermo il richiamato principio, in forza del quale non può essere risarcito il danno inesistente ab origine o non più esistente.

Orbene, il danno indennizzato in forza di una polizza è un danno che ha cessato di esistere, dal punto di vista giuridico, dal momento in cui l’assicurato ha percepito l’indennizzo e fino all’ammontare di quest’ultimo, con la conseguenza che il relativo importo dovrà essere scomputato dall’indennizzo, convenzionalmente predeterminato in misura maggiore, dovuto in forza di una altra polizza stipulata per il medesimo rischio.

Cassazione civile sez. III, 04/05/2018 n. 10602