di Carlo Giuro
Uno dei grandi temi da affrontare legati all’invecchiamento della popolazione in Italia è rappresentato dal rischio di non autosufficienza. Partendo dalle dinamiche della piramide demografica appaiono particolarmente eloquenti le evidenze riportare nell’Annuario statistico dell’Istat secondo cui l’indice di vecchiaia, rappresentato dal rapporto tra la popolazione di 65 anni e oltre e quella con meno di 15 anni, al 1° gennaio 2016 è pari al 161,4%, ancora in crescita rispetto all’anno precedente, quando era del 157,7%.
L’Italia è uno dei Paesi con maggior tasso di invecchiamento che, congiunto alla riduzione del numero delle nascite, determina un incremento del peso relativo degli anziani rispetto ai giovani sul totale della popolazione. Il crescente peso degli anziani impatta sia sulla necessità di garantire la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale italiano, sia sulla proiezione della spesa sanitaria considerando poi che, in base a quanto sottolineato dal recente Health at a Glance 2015 dell’Ocse, gli indicatori di salute all’età di 65 anni nel Paese sono peggiori di quelli in altri Stati Ocse e l’aspettativa di vita in buona salute all’età di 65 anni in Italia è tra le più basse con sette anni senza disabilità per le donne e circa otto anni per gli uomini. Il profilo assume particolare delicatezza in un Paese come l’Italia in cui è molto elevata la spesa privata out of pocket (quella cioè pagata direttamente dai cittadini), pari al 36% della spesa complessiva con solo il 15% della spesa privata intermediata da polizze e fondi sanitari. Come viene sottolineato dall’Ivass nella recente Relazione annuale emerge quindi la sostanziale difficoltà per lo Stato di far fronte ai bisogni attuali e futuri delle sole persone anziane non autosufficienti.
In maniera lungimirante va rimarcato come la recente Legge di Stabilità 2017 introduca previsioni specifiche di particolare vantaggio in termini di detassazione dei premi di produttività non solo se confluiscono nei fondi pensione ma anche nella sanità complementare e nelle polizze long term care (ltc).
È interessante porre in evidenza che anche la previdenza complementare possa fornire soluzione al rischio di non autosufficienza sia in fase di accumulazione, sia in quella di decumulo. La prima via è quella della previsione di coperture assicurative opzionali. Andando ad una view di mercato ed attingendo a Previdata del Mefop, i cui dati sono stati illustrati in un recente convegno,84 fondi pensione su 132 (dati al 31 dicembre 2016) assicurano prestazioni accessorie in fase di accumulo. In particolare sul mercato ci sono 55 pip con otto coperture ltc, 26 fondi pensione aperti con una copertura ltc e tre fondi pensione negoziali con tre coperture ltc. Dal punto di vista fiscale va evidenziato poi come nel limite annuo di deducibilità dei contributi versati alla previdenza integrativa pari a 5.164,57 euro rientrano anche i versamenti effettuati a fronte delle garanzie complementari per invalidità totale permanente, per morte e long term care; le stesse coperture in forma autonoma danno invece il diritto alla semplice detraibilità nella misura del 19% su un premio annuo massimo di 1.291,14 euro.
È invece più diffusa la previsione di una tipologia di rendita che prevede una maggiorazione di importo nel caso in cui insorga la fattispecie di non autosufficienza. In fase di rendita tra i fondi pensione negoziali vi sono 31 convenzioni di rendita vitalizia maggiorata per ltc, 26 rendite certe a cinque anni maggiorate per ltc, 26 rendite certe a 10 anni maggiorate per ltc. Tra i fondi pensione aperti ci sono sette convenzioni di rendita maggiorata per ltc, tra i pip sono due le rendite vitalizie maggiorate per ltc. Dal punto di vista fiscale la maggiorazione della rendita derivante dalla copertura del rischio di non autosufficienza ha natura indennitaria ed è quindi esente. (riproduzione riservata)

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