di Paola Valentini
fondi di investimento
L’industria del risparmio gestito deve fare i conti con un tema che sta diventando sempre più rilevante man mano che il fenomeno dei tassi a zero o sotto zero si allarga. Il nodo è la pressione sulla riduzione delle commissioni dei fondi. Senza dimenticare l’avanzata dei fondi indicizzati (o passivi), prodotti come gli Etf o i fondi passivi, che si basano proprio, come punto di forza, su costi ridotti all’osso. La via di uscita? Produrre performance superiori al mercato in modo da battere i prodotti legati agli indici e rendere così sostenibili le commissioni addebitate ai sottoscrittori. Ma non è facile in una fase di mercati azionari in difficoltà e, appunto, rendimenti obbligazionari ai minimi.
Di questo fenomeno si è occupata Equita Sim in una nota emessa a fine giugno, sottolineando che con rendimenti lordi attesi scesi dal 3,9% del 2013 al 2,3%, gli asset manager dovranno affrontare un calo graduale e fisiologico delle commissioni. «La ragione principale della nostra cautela è che sul fronte dei margini i rischi sono decisamente peggiorati negli ultimi mesi», avverte Equita. In particolare, il peggioramento, spiega la sim, è dovuto sia alla performance negativa delle borse e all’ulteriore ribasso dei tassi sui bond governativi e sui titoli obbligazionari investment grade a causa degli acquisti della Bce sia alla ricerca di rendimento degli investitori. «Le società si trovano quindi di fronte alla prospettiva di rendimenti lordi normalizzati molto più bassi che in passato. Abbiamo stimato che nel 2013 una gestione avesse un rendimento atteso lordo ex-ante del 3,9% sceso oggi a 2,3%, valori sempre meno compatibili con i costi tipici dei prodotti», avverte Equita. D’altra parte le società di gestione sono diventate molto importanti negli ultimi anni per i bilanci delle banche. Perché i margini da asset management sono serviti per attutire il calo degli utili del business tradizionale dell’attività di intermediazione.
Intanto le politiche di prezzo dei fondi passivi sono, per lo meno in un mercato più avanzato come quello Usa, sempre più aggressive. Ad esempio Vanguard e Blackrock hanno comparti indicizzati con un indicatore di costo totale inferiore allo 0,05%. Ma i gestori attivi non concordano.«Il rischio di abbassare le commissioni è perdere i migliori talenti che gestiscono i portafogli dei fondi», afferma Daniele Scognamiglio, capo degli investimenti di Jci Capital Limited. C’è quindi da aspettarsi che le sgr non ingaggeranno una guerra di prezzi. Anche perché, se sul breve questa può premiare, sul lungo periodo rischia di indebolire l’industria.
Come sottolinea anche Antonio Napolitano, head of strategic product & marketing Italy di Pioneer Investments. che si concentra sulla sostenibilità finanziaria del livello delle commissioni rispetto al potenziale di rendimento dei fondi. «In questa fase di tassi a zero, i fattori tattici spingerebbero a una revisione al ribasso delle commissioni di alcuni prodotti ma non si tratta di una valutazione generalizzabile. Pioneer nello specifico, alla luce del fatto che ha sempre puntato su un livello di commissioni inferiore alla media di mercato, in questo senso ha fatto solo pochi interventi mirati di ottimizzazione del livello delle fee applicate sui prodotti esistenti, mentre, invece, siamo molto più cauti sul livello delle commissioni dei prodotti che abbiamo lanciato sul mercato recentemente».
Gli fa eco Sabrina Racca, responsabile commerciale di Eurizon Capital Sgr: «Nell’attuale contesto focalizzare l’attenzione sulla riduzione dei costi rischierebbe di andare a discapito della qualità dell’offerta. Riteniamo che la giusta direzione per l’industria del risparmio sia quella di puntare sulla creazione di valore, offrendo alla clientela prodotti sempre più innovativi e a elevato contenuto gestionale, inteso come diversificazione delle leve di performance e flessibilità, affiancati da una forte attenzione ai rischi di portafoglio». Sotto questo punti di vista Eurizon si è mossa su più fronti. «Da più di un anno siamo intervenuti sui costi di alcuni fondi monetari, riducendo le commissioni di gestione fino al 50%», spiega Racca. «Contemporaneamente abbiamo intrapreso un cammino per guidare la clientela verso prodotti di nuova generazione che offrono più strumenti di performance. In Eurizon Capital», spiega Racca, «abbiamo disegnato un’offerta differenziata nella quale si è puntato a creare un equilibrio tra contenuti gestionali e un livello sostenibile di costi rispetto ai rendimenti attesi».
Anche Anima ha puntato sull’innovazione per rispondere alle attese di performance dei risparmiatori. «Considerato che gli investitori sono alla fine interessati al rendimento al netto dei costi, è chiaro che un contesto di tassi bassi prolungati pone delle sfide importanti all’industria del risparmio gestito. La ricerca di rendimenti passa infatti più che altro dallo sviluppo di nuove soluzioni che permettano agli investitori di uscire da asset class tradizionali a basso valore aggiunto e di catturare una parte del rendimento offerto da altri attivi finanziari opportunamente bilanciati, sempre nel rispetto della propensione al rischio di ciascuno», afferma Claudio Tosato, direttore prodotti di Anima sottolineando che «effettuiamo analisi di sostenibilità che comprendono anche i costi per verificare che il rendimento atteso per il cliente sia adeguato, dato l’orizzonte temporale del fondo e la tipologia di investimento».
Sul tema interviene Paolo Martini, co-direttore generale di Azimut Holding: «Ci sarà una sempre maggiore separazione tra gestione passiva, caratterizzata da basso costo per il cliente e da una forte connessione con i benchmark, e gestione attiva, spesso coniugata a innovazione con costi diversi ma anche con possibili migliori performance come dimostrano i molti casi di gestori capaci nel mondo o lo stesso Gherardo Spinola che in Azimut gestisce da oltre 20 anni il fondo Trend con un rendimento annuo dell’8,3%. Da sempre in Azimut seguiamo la filosofia del risultato sul cliente e la nostra performance media ponderata netta di oltre 1 punto percentuale medio annuo sopra l’industria negli ultimi 20 anni lo dimostra. Non abbiamo quindi intenzione di diventare un discount che offre bassa qualità al cliente e scarse opportunità ai consulenti, ma vogliamo continuare a investire anche sulla gestione attiva attraendo professionalità in giro per il mondo, proseguendo a innovare sui prodotti alternativi liquidi e illiquidi e formare al meglio i nostri consulenti per offrire valore e dare performance adeguate ai nostri clienti anche in un mondo a tassi zero».

Anche per Claudia Vacanti, direttrice investimenti di Banca Generali , «per mantenere il pricing power nell’attuale contesto, bisogna avere soprattutto la capacità di innovare. Da questo punto di vista Banca Generali è posizionata in modo ottimale avendo investito moltissimo nell’innovazione di prodotto».
Per la clientela di fascia elevata, Banca Generali ha creato la gestione Real Estate che dà accesso ad investimenti in mercati illiquidi (debito mezzanino e non performing loans) «che oggi presentano opportunità di investimento estremamente interessanti», spiega Vacanti, «inoltre nella gamma prodotti della piattaforma lussemburghese BG Fund Management Luxembourg da due anni a questa parte sono stati lanciati numerosi comparti con strategie flessibili, multiasset e alternative liquide, che oggi consentono di offrire ai clienti molteplici soluzioni per sostituire la tradizionale allocazione destinata alle obbligazioni». Date queste considerazioni, il nodo è piuttosto dare più trasparenza ai risparmiatori sulle commissioni. C’è da dire che sulla trasparenza dei costi c’è sempre stato un acceso dibattito. E oggi l’attenzione si concentra sui fondi che si dicono attivi e si fanno pagare per questo servizio, ma in realtà si comportano da passivi.
Come sottolinea Napolitano, «la principale motivazione economica sottostante alle commissioni è la remunerazione dell’attività di ricerca e selezione degli strumenti finanziari nonché l’attività di asset allocation e costruzione di portafoglio. In questa prospettiva il tema dovrebbe essere la congruità di queste commissioni rispetto allo sforzo effettivamente profuso dal gestore per evitare che ci siano società che incassano alte commissioni a fronte di una gestione sostanzialmente passiva. La trasparenza delle informazioni e dei dati di base di ciascun prodotto è quindi la chiave di lettura principale da utilizzare per affrontare la discussione».
Proprio per consentire di valutare se i costi dei fondi più cari sono giustificati da una gestione davvero attiva, e quindi cercare di smascherare i falsi attivi, la Sgr indipendente AcomeA ha messo gratuitamente a disposizione del pubblico l’app Angel costi (www.acomea.it). Il servizio si basa sulle spese correnti che sono il totale dei costi sostenuti dal sottoscrittore del fondo durante l’anno: commissioni di gestione, collocamento, banca depositaria, di servizio. Sono escluse le commissioni di performance ed eventuali commissioni di ingresso e uscita. Solitamente la componente più pesante delle spese correnti è data dalle commissioni di gestione. «Se un fondo ha commissioni più elevate, bisogna aspettarsi una pronunciata e, si spera, più brillante gestione attiva: è questo il senso di Angel Costi», spiega Alberto Foà, presidente di AcomeA. La quale, tra l’altro, è stata anche la prima Sgr italiana a quotare in borsa la sua gamma completa di fondi. «L’acquisto in borsa avviene senza l’erogazione di un servizio di consulenza, e dunque la commissione di gestione deve essere più bassa rispetto a quella tradizionale. A questo devono fare attenzione gli investitori quando comprano un fondo quotato», dice Foà. La stessa cosa vale per la classe di fondi di AcomeA collocata online (la A 2) che ha commissioni di gestione dimezzate rispetto alla classe tradizionale non essendo previsto alcun servizio di consulenza.
Dal 2011, grazie alla normativa Mifid, è possibile usare la modalità cosiddetta execution only per comprare fondi o altri strumenti finanziari. «Con l’execution only si possono comprare fondi in completa autonomia, senza il supporto della banca o di un promotore finanziario», aggiunge Foà. Una quota delle commissioni di gestione viene infatti normalmente girata dalla sgr al distributore (banca o consulente) per remunerare la sua attività di supporto al cliente.
Sempre a proposito della trasparenza dei costi dei fondi, un’altra questione che tiene banco riguarda le cosiddette commissioni di collocamento, le quali si differenziano per modalità di applicazione dalle classiche commissioni di ingresso. Qual è la differenza tra le due? Le commissioni di ingresso sono fatte pagare direttamente al sottoscrittore al momento di ogni nuova sottoscrizione in un fondo comune e girate a chi ha venduto il fondo. «Si trovano ancora in diversi fondi, ma i distributori fanno sempre più fatica ad applicarle perché presentano svantaggi ben visibili ai risparmiatori», spiega il presidente di AcomeA Sgr. Da qualche anno, quindi hanno fatto la loro comparsa le commissioni di collocamento: costi a carico del fondo, prelevati in un’unica soluzione e ammortizzati in un determinato periodo che concide con la vita del fondo».
Questo tipo di commissioni si applica infatti soltanto ai fondi comuni con una durata prestabilita e con una finestra di collocamento, comparti che sono il cavallo di battaglia di molte società di gestione italiane. Il fatto è che, rispetto alle commissioni di ingresso, presentano una minore visibilità. «La vecchia commissione di sottoscrizione era molto chiara», aggiunge Foà. Su un investimento di 100 euro, commissione d’ingresso del 3%, la banca toglie 100 dal conto corrente del cliente e compra quote di un fondo per un valore di 97. Adesso il meccanismo è diverso: il valore iniziale delle quote è di 100 euro, ma verrà decurtato di un piccolo ammontare ogni giorno, in modo che alla fine del periodo di durata del fondo, ad esempio tre anni, il valore delle quote è 97 euro. «In questo modo, il cliente non vede la commissione nel momento in cui investe, perché viene spalmata su tutto il periodo di investimento. Non la vedrà neanche alla fine dei tre anni, perché in quel momento il 3% di riduzione di valore, dovuto alla commissione di collocamento, si confonderà con il risultato della gestione», spiega Foà.

Non solo. Chi colloca il fondo incassa subito. Infatti la società di gestione del fondo ottiene i 100 euro dal cliente e versa 3 euro al distributore, anticipandogli la commissione di collocamento. Poi la sgr investe i rimanenti 97 euro nel fondo. «Poiché il valore contabile delle quote, quello che il cliente vede, è 100, il fondo vanta un credito nei confronti del cliente che gli verrà fatto pagare giorno per giorno adeguando il valore contabile delle quote al loro valore effettivo, ovvero 97, fino a che i due valori coincideranno al termine dei tre anni», aggiunge il presidente di AcomeA. C’è poi il capitolo delle commissioni di performance, che a differenza delle commissioni di gestione e di collocamento non sono fisse, ma variabili perché servono per premiare la bravura del gestore e sono quindi addebitate al sottoscrittore quando il fondo va meglio del mercato. Ma a volte sono calcolate con modalità più a favore della Sgr che del risparmiatore. Che per capire come sono calcolate è importante che verifichi nel prospetto del fondo il meccanismo di calcolo. (riproduzione riservata)
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