Il risveglio è stato amaro per quanti hanno approfittato del periodo vacanziero per distogliere l’attenzione dai propri risparmi. Le ultime settimane sono state all’insegna delle turbolenze sui mercati finanziari e le certezze che sembravano acquisite, dal ritorno della stabilità in Europa dopo l’accordo con la Grecia alla ripresa robusta negli Stati Uniti, sono state messe in discussione dalla crisi del mercato finanziario cinese.

Una novità improvvisa che rischia di provocare conseguenze negative all’economia reale di tutto il mondo, date le dimensioni ormai raggiunte da Pechino nei commerci internazionali.

 

Il Dragone in ginocchio. Un primo scossone si è registrato a giugno, quando le borse cinesi, che nell’ultimo anno e mezzo avevano più che raddoppiato il loro valore, hanno perso un terzo della capitalizzazione.

Le autorità di Pechino sono intervenute rapidamente con misure straordinarie, come il divieto di nuove Ipo, immissione di liquidità sul mercato e sospensione dei titoli più colpiti dalle vendite, ma l’argine ha retto solo qualche settimana.

Luglio e soprattutto agosto sono stati mesi molto negativi, con il panico che si è fatto strada tra gli investitori, convinti che il problema non sia solo la presenza di bolle finanziarie, ma sia a rischio la crescita stessa della Cina.

Il rallentamento della locomotiva asiatica era già stato messo in conto dai mercati, che per quest’anno si attendevano una crescita del Pil lontana dalle due cifre percentuali del passato. Ma il 7% stimato solo pochi mesi fa oggi sembra un livello molto difficile da raggiungere, con diversi analisti che si spingono a prevedere un progresso non superiore al 4%. Una frenata non di poco conto per un paese alle prese con la necessità di trovare lavoro a decine di milioni di persone che ogni anno si spostano dalle campagne alle città.

 

Materie prime e valute sotto pressione. Le autorità monetarie di Pechino sono intervenute a metà agosto svalutando lo yuan, in modo da ridare fiato all’export locale.

Una mossa che è stata letta dagli investitori di tutto il mondo come un campanello d’allarme grave, dopo che negli ultimi anni gli orientamenti politici erano stati di senso opposto: sostenere la crescita soprattutto alimentando i consumi, nella consapevolezza che la domanda proveniente dall’Occidente sarebbe rimasta debole a lungo.

Così la corsa a vendere si è diffusa anche tra i listini occidentali, andando a colpire soprattutto i titoli delle società più esposte verso l’area asiatica, come il settore del lusso e l’auto.

Di pari passo anche molte materie prime hanno ripreso la strada dei ribassi, a cominciare dal petrolio, sceso sotto i 40 dollari. Una situazione che pone rischi concreti di nuovi conflitti sociali nei paesi esportatori, in primis la Russia e il Medio Oriente.

Incognita tassi. Ad aggiungere incertezza è la posizione della Fed in merito ai tassi. Da più parti fino a pochi giorni fa si sosteneva che la fine dei tassi zero in America era vicina. Così si è assistito a un travaso di investimenti dai paesi emergenti verso gli Usa (in vista di rendimenti crescenti da parte dei Treasury), con la conseguenza che molte valute dei mercati più deboli si sono pesantemente deprezzati.

Alla luce di tutto ciò che è successo negli ultimi giorni, non è escluso che la Banca centrale americana ci ripensi e rimandi la prima stretta al nuovo anno.

 

Che cosa fare? Detto del passato, resta da capire come muoversi da qui in avanti. L’indice Vix, che misura la volatilità sull’indice S&P 500 americano, è schizzato negli ultimi giorni, dando un’indicazione chiara: gli investitori brancolano nel buio e verosimilmente occorrerà fare i conti con una lunga stagione di alti e bassi in attesa che si chiarisca il quadro di fondo.

Per chi si muove con un’ottica di lungo periodo, invece, la recente correzione può essere la base per entrare sul mercato, pur muovendosi con grande prudenza. Secondo Massimo De Palma, capo del team multi asset class solutions di Gam Italia, i dati che arrivano dall’economia mondiale segnalano un discreto stato di salute per le economie occidentali e anche i risultati delle ultime trimestrali segnalano progressi sul fronte della redditività societaria.

«Crediamo che la ripresa degli utili nel Vecchio continente sia ben supportata», gli fa eco Dean Tenerelli gestore del T. Rowe price european equity fund. «I recenti utili stagionali sono stati i migliori degli ultimi cinque anni. Inoltre, è in corso anche una buona ripresa del Pil, con paesi come l’Irlanda e la Spagna che fanno da traino. Il rallentamento della Cina potrebbe implicare una ripresa più lenta, ciò nonostante crediamo ancora che l’Europa sia orientata nella giusta direzione».

 

I bond riacquistano appeal. Per chi non si fida di tornare sull’equity, va detto che il mercato europeo dei bond ha reagito alle turbolenze finanziarie con un’inattesa forza.

Lo spread tra Btp e Bund decennali è rimasto contenuto, con i titoli di stato italiani poco sopra l’,19%. Evidentemente il mercato non è particolarmente preoccupato perché confida nella forza della Bce, che sta iniettando nel sistema 60 miliardi di euro al mese attraverso il quantitative easing. Non solo: la svalutazione dello yuan rischia seriamente di far ripiombare il Vecchio continente in deflazione. A quel punto il Qe non verrebbe interrotto a settembre 2016, come previsto inizialmente, ma potrebbe essere prolungato fino al raggiungimento di un tasso di inflazione vicino al 2%, come da obiettivo della Bce.

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