di Antonio Ciccia Messina e Alessio Ubaldi 

In caso di lavori affidati in appalto la ditta subappaltatrice non può mai invocare la persistente concomitante attività della ditta appaltante, con la quale deve necessariamente cooperare per l’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi inerenti all’esecuzione dell’opera appaltata. Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 22369, depositata il 27 maggio 2015.

Nel caso concreto un operaio di un cantiere allestito per la costruzione di un parcheggio multipiano è stato vittima di un grave sinistro, per essere precipitato in una trincea non segnalata. La procura ha, conseguentemente, avviato un procedimento penale a carico del datore, nella sua qualità di presidente del cda della società titolare del contratto di subappalto per la pavimentazione dell’edificio.

All’esito del giudizio di primo grado l’imputato è stato condannato per il reato di lesioni colpose, con decisione confermata in appello. Secondo i giudici di merito, infatti, l’incidente si sarebbe verificato a causa della mancata predisposizione, da parte del datore, delle dovute e opportune cautele atte a impedire il verificarsi di eventi come quello verificatosi.

La vicenda è stata, da ultimo, sottoposta all’attenzione dei giudici della cassazione, cui è stato chiesto l’annullamento del pronunciamento della corte territoriale. In particolare, la difesa ha insistito nel sostenere come la responsabilità dell’incidente non potesse affatto imputarsi all’imputato, e tanto sulla base di due principali argomenti: da un lato, la circostanza che la vittima fosse alle strette dipendenze della società subappaltatrice dei lavori di pavimentazione e non già di quella, titolare dell’appalto, su cui gravava – nell’interezza – l’obbligo di garantire la sicurezza del cantiere; dall’altro, l’assoluta eccezionalità del comportamento tenuto dal dipendente tale da recidere ogni nesso causale tra il l’evento dannoso prodottosi e la posizione del datore.

Nel confermare il verdetto della sentenza impugnata, gli ermellini sono tornati a occuparsi dell’annosa problematica inerente al riparto di responsabilità tra appaltatore e subappaltatore per i danni subiti dai dipendenti in occasione dello svolgimento delle mansioni lavorative.

Secondo la Corte nell’ipotesi di subappalto dell’esecuzione di parte dell’opera ad altra ditta, l’impresa appaltante e quella subappaltatrice devono cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione, sicché permane in capo a ciascun datore di lavoro l’obbligo di assicurare ai propri dipendenti condizioni di lavoro sicure. Di conseguenza, «giammai la ditta subappaltatrice può invocare la persistente concomitante attività della ditta appaltante o subappaltante, con la quale deve cooperare per l’attuazione delle misure di prevenzione e protezione per i rischi inerenti all’esecuzione dell’opera appaltata». La cessione dei lavori in subappalto, infatti, comporta sempre il trasferimento del rischio e dell’onere di tutela della sicurezza dei lavoratori dal cedente al cessionario. Tale trasferimento, peraltro, non può essere derogato da determinazioni pattizie, con conseguente ininfluenza di eventuali clausole di manleva dal rischio e dalla responsabilità intercorse tra appaltante e subappaltatore

Semmai – si precisa – è configurabile una esclusione della responsabilità dell’appaltatore nel caso in cui al subappaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorché determinati e circoscritti, che, però, questi svolga «in piena e assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale». Il chè, tuttavia, non si verifica quando l’interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti – come nel caso affrontato – escluda ogni estromissione dell’appaltatore dall’organizzazione del cantiere.

Ciò premesso, la Corte ha altresì escluso che la responsabilità del sinistro fosse riconducibile alla semplice inavvedutezza della vittima.

Sotto questo profilo, il Palazzaccio ha ribadito come gli obblighi prevenzionistici incombenti sul datore si pongono «anche in funzione di protezione dei lavoratore dai suoi stessi comportamenti negligenti, imperiti o imprudenti, purché non completamente avulsi dal contesto lavorativo». Per l’effetto, la responsabilità del datore può essere esclusa – per causa sopravvenuta – «solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come dei tutto imprevedibile o inopinabile».

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