In un sistema economico come quello italiano, fortemente dipendente dal credito bancario, lo stato di salute degli istituti di credito assume una rilevanza straordinaria. Ecco perché si guarda con apprensione alle semestrali in uscita, dalle quali ci si attende una svolta dopo due anni di pesanti svalutazioni. La pulizia dei conti non può dirsi finita, dato che a maggio le sofferenze hanno raggiunto quota 168,6 miliardi di euro, 2,1 miliardi in più rispetto ad aprile, attestandosi così all’8,9% degli impieghi totali (contro il 6,9% di un anno prima e il 2,8% registrato a fine 2007). L’auspicio, tuttavia, è che arrivi qualche segnale di risveglio sul fronte della redditività, grazie anche al buon andamento dei mercati finanziari. Oltre che ai piani di riduzione dei costi (compresi quelli del personale) avviati già nel 2013 e destinati a produrre i principali effetti proprio nell’anno in corso.

 

Test di solidità per le banche. L’arrivo dell’autunno coinciderà con una nuova tornata di esami per le banche di grandi e medie dimensioni dell’Eurozona, con l’avvio degli stress test, chiamati a saggiare la resistenza dei conti a fronte di eventuali, nuove crisi sui mercati finanziari. Complice la pressione di Bankitalia, gli istituti della Penisola si stanno attrezzando per evitare una bocciatura che li costringerebbe a cercare soluzioni in tutta fretta, magari con il rischio di finire nuovamente nel mirino della speculazione internazionale. Così, da inizio anno sono stati deliberati aumenti di capitale per 13 miliardi di euro, che ha portato il dato complessivo dal 2008 (primo anno della crisi internazionale) a quota 48 miliardi. Con l’auspicio che possa bastare. Si mostra ottimista in tal senso Nomura, che ha da poco pubblicato un report indicando proprio nelle banche italiane i titoli del credito con il maggiore potenziale di rialzo, dato che la strada da recuperare dopo i crolli del 2009-2012 è ancora lunga.

 

Migliora lo stato di salute delle imprese. Secondo il Cerved, la moderata ripresa dell’economia italiana attesa per il prossimo triennio favorirà un graduale calo nel flusso di nuove sofferenze da parte delle imprese, che tuttavia si attesteranno a livelli superiori rispetto a quelli osservati prima del 2009. Sempre che trovi conferma la stima formulata dalla Commissione Europea, secondo cui l’economia dell’Unione crescerà dell’1,5% nell’anno in corso, con un consolidamento atteso nel 2015 (+2%) e un leggero rallentamento nel 2016 (+1,8%). Dunque, probabilmente è giunto il momento di guardare il bicchiere mezzo pieno: insomma la ripresa stenta ad affermarsi, ma il momento più duro della crisi sembra definitivamente alle spalle.

Se non vi saranno improvvisi cambi di rotta, ad esempio sotto forma di una nuova crisi dei debiti pubblici (che appare comunque poco probabile al momento), il Cerved Group Risk Index, che sintetizza il rischio medio di insolvenza delle società italiane, è previsto in lieve diminuzione tra 2013 e 2014 (da 75,6 punti a 74,3). Per quanto contenuta, l’inversione del trend potrebbe assumere grande rilevanza nel nostro Paese, convincendo le banche ad allargare nuovamente i cordoni della borsa verso l’economia reale.

Il calo è destinato ad accelerare nel corso del 2015 (in modo da arrivare a 70,1 punti) per poi scendere a quota 68,3 punti nell’anno successivo. In rapporto al numero di società esposte con il sistema bancario, con questa dinamica le imprese con prestiti in sofferenza diminuiranno dal 3,5% della fine del 2013 al 3,2% nel 2016, un livello che comunque rimarrà ben superiore rispetto all’1,6% registrato nel 2007.

A beneficiare maggiormente della ripresa economica, aggiunge Cerved, sarebbero le pmi e le microimprese, per le quali si stima una riduzione tra 2013 e 2016 della probabilità di default di circa 88-90 punti base, quasi il triplo rispetto alle grandi società (-31 punti). Dal punto di vista settoriale ne beneficerebbero soprattutto il settore delle costruzioni (-144 basis point) e quello dell’industria (-117), che sono stati tra i più penalizzati nel corso degli ultimi anni. In particolare, nell’industria si prevede che l’indice di rischio scenderà dai 73,1 punti del 2013 ai 69,9 punti del 2015, grazie soprattutto al contributo positivo delle esportazioni, che giocheranno un ruolo cruciale di sostegno alla domanda delle società che operano con l’estero.

Il quadro per aree geografiche indica che il rischio medio di insolvenza delle società italiane si ridurrà ovunque nei prossimi due anni, ma solo nelle regioni del Centro e del Nordest scenderà sotto i livelli del 2009. Nel Nordovest è prevista un calo dell’indice di rischiosità nell’ordine di 3,8 punti in due anni, dai 72,2 del 2013 ai 68,4 del 2015. Nello stesso lasso di tempo, nel Nordest è atteso un calo da 67,4 a 63,6 punti, con il Trentino-Alto Adige destinato a scendere fino a 54,7 punti, il livello più basso della Penisola. Nelle regioni dell’Italia centrale, l’indice è previsto in riduzione dai 73,9 punti del 2013 ai 70,1 del 2015, mentre nel Mezzogiorno e nelle Isole, il valore che indica la probabilità media di insolvenza delle imprese si ridurrà sotto la soglia di 80 punti nell’anno in corso (a 79,8 punti, dagli 83,1 del 2013), per poi attestarsi a quota 79,3 nel 2015.

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