di Anna Messia

Francesi e tedeschi hanno avuto le loro soddisfazioni. E anche gli spagnoli, in fin dei conti, sono riusciti a far valere i propri interessi nell’intricata partita europea di Solvency II. E gli italiani? In un primo momento sembravano aver giocato bene le carte nella definizione dei requisiti patrimoniali per le compagnie di assicurazione, in vigore dal 2016.
Ma ora è entrato in scena un nuovo elemento che rischia di scombussolare gli equilibri, penalizzando principalmente proprio le assicurazioni italiane, e potenzialmente l’intera economia del Paese.

A Bruxelles si sta cominciando a discutere della necessità di chiedere alle assicurazioni di accantonare riserve di capitale a fronte di un possibile default dei titoli di debito pubblico. La proposta, manco a dirlo, arriva da Paesi che non hanno avuto problemi con il debito pubblico. Ma per le assicurazioni italiane la cosa può invece rivelarsi una grana. Non solo perché il rischio-Paese dell’Italia potrebbe essere considerato più alto di quello tedesco, ma anche perché le compagnie tricolore complessivamente sono più esposte nei confronti dei titoli di Stato nazionali rispetto alle concorrenti europee, per un importo che supera 250 miliardi. Il rischio, quindi, è che siano costrette ad aumenti di capitale importanti o, in alternativa, a vendere parte di questi titoli, a danno, in questo caso, dell’Italia intera. «È una questione difficile da risolvere, da sempre il dilemma del sistema finanziario», osserva Paolo Gualtieri, ordinario di Economia dei mercati e degli intermediari finanziari all’Università Cattolica, «perché se è vero che non si può ignorare la valutazione che i mercati fanno del rischio di un Paese, è altrettanto vero che, come è stato ampiamente dimostrato, quando aumentano gli spread il rischio di default viene molto sovrastimato, ed è molto più alto di quello che si ottiene analizzando le serie storiche». 
Come dire che «valutare il grado di solvibilità di una compagnia sulla base dei prezzi di mercato non è sicuramente corretto», aggiunge Gualtieri, «si rischia insomma di passare da un eccesso all’altro». Un problema che era esploso per esempio con il Monte dei Paschi all’epoca della tensione sugli spread dei Btp, visto che la banca di Siena era quella più esposta ai titoli del debito pubblico italiano. Ma che ha già coinvolto anche le compagnie italiane, protette dallo scudo introdotto dall’allora Isvap (ora Ivass) che ha consentito alle imprese di mantenere i titoli di Stato al costo storico, evitando la corsa agli aumenti di capitale. «Senza quella protezione molte imprese sarebbero state danneggiate senza ragione», osserva l’accademico, «visto che nel frattempo la crisi degli spread sui Btp è rientrata e le assicurazioni sono investitori a lungo termine che non hanno bisogno di vendere nel breve quei titoli».

Il provvedimento Ivass è stato prorogato a più riprese, e varrà fino al gennaio 2016. A quella data scatteranno quindi le nuove regole di Solvency II, che però sul punto sono decisamente fumose. La questione è aperta su due diversi tavoli. Perché per applicare le nuove regole di Solvency II le compagnie potranno scegliere sia una formula standard (un calcolo uguale per tutti) sia un modello interno, in grado di consentire un risparmio di capitale con un accantonamento più adeguato all’effettivo profilo di rischio dell’impresa. Per quanto riguarda la formula standard a Bruxelles, con la direttiva Omnibus II, hanno già preso l’impegno di ricalibrare il calcolo per considerare anche il rischio dei titoli del debito pubblico. Ma ci vorranno probabilmente anni, uno o due dopo l’entrata in vigore di Solvency II. Insomma, se ne riparlerà nel 2017, così le imprese che decideranno di seguire la formula standard potranno stare al sicuro per più di qualche anno. Diversa la situazione per quanto riguarda i modelli interni, su cui sembravano orientate soprattutto le grandi imprese: il rischio concreto è che nelle istituzioni europee prevalgano orientamenti favorevoli alla richiesta di capitale, o stabilendo direttamente il quantum, oppure lasciando alle autorità locali (l’Ivass nel caso italiano) libertà di orientamento. Il che creerebbe confusione. Oltre al fatto che per un gruppo internazionale la decisione dovrebbe essere condivisa tra le Authority di diversi Paesi e non si potrebbero escludere discrepanze. «Bisognerebbe lavorare a una formula che tenga conto dei rischi dei titoli di Stato ma mitigandoli rispetto alle valutazioni di mercato e considerando anche il fatto che per gli assicuratori si tratta di investimenti di lungo termine», propone Gualtieri, «oltre magari a prevedere al contempo l’obbligo di fornire informazioni dettagliate al mercato e al pubblico sulla situazione». E forse ci sarebbe anche bisogno di uniformare le regole per assicurazioni e banche, perché uno degli obiettivi di Solvency II era proprio quello di livellare meglio il campo di gioco tra istituti di credito e compagnie, e la questione Btp è centrale. (riproduzione riservata)