Pagina a cura di Duilio Lui  

 

L’ultima novità risale a martedì scorso, con Pioneer investments (società di asset management del gruppo Unicredit) che ha costituito un fondo mobiliare chiuso destinato a investire prevalentemente in titoli obbligazionari emessi da piccole e medie imprese italiane con un fatturato compreso tra i 10 e i 100 milioni di euro. La selezione di Pioneer progetto Italia tenderà a privilegiare società che si contraddistinguono per una consolidata posizione competitiva, credibili piani di crescita, parametri economico-finanziari positivi, potenzialmente interessate a finanziare la propria ulteriore espansione, anche su mercati internazionali.

È il segnale che il mercato dei minibond, ideato per offrire alle Pmi un nuovo canale di finanziamento alternativo alla banca (stante il persistere del credit crunch), sta finalmente decollando in Italia, anche se finora i segnali di interesse sono arrivati più dal fronte dei potenziali investitori, che degli emittenti. Questi ultimi sono finora stati 36, con un’accelerazione negli ultimi mesi e la tendenza a emissioni piccole, ma non piccolissime, quasi mai inferiori ai 5 milioni di euro.

Scenario in evoluzione. I minibond sono stati introdotti nell’ordinamento italiano con il decreto Sviluppo 2012 (decreto legge n.83 del 22 giugno 2012, convertito con la legge n.134 del 7 agosto 2012), che ha avvicinato le modalità di emissione da parte delle Pmi non quotate a quelle previste per le società presenti sui mercati regolamentati. Questi strumenti sono poi stati oggetto di altri interventi normativi negli ultimi due anni, con l’obiettivo di facilitarne l’emissione da parte delle Pmi. Tra le altre cose, è sparito il limite quantitativo alle emissioni (il doppio della somma del capitale sociale e delle riserve) e sono state introdotte alcune facilitazioni fiscali (deducibilità ?no al 30% del reddito operativo lordo ed eliminazione della ritenuta d’acconto del 20%).

Secondo un’analisi del Cerved group, in Italia esistono 19 mila imprese con un fatturato tra i 10-250 milioni di euro, e 33 mila nella classe 5-250 milioni, collocabili in un’area di sicurezza o solvibilità economico-finanziaria, che potrebbero quindi essere interessate a emettere questi strumenti di finanziamento.

I fondi costituiti per investire nei minibond sono una trentina, un dato sicuramente superiore alle attese degli stessi addetti ai lavori al momento dell’introduzione di questo strumento. Si va da grandi gestori internazionali come Amundi, Bnp Paribas investment partners, Lyxor e Muzinich, a operatori italiani come Hedge invest, Zenith sgr e Anthilia capital partners. Grandi nomi per un obiettivo di raccolta che supera i 4,5 miliardi di euro, anche se finora è entrato in cassa all’incirca un terzo della somma target.

Emissioni e costi. Le emissioni effettuate in questi due anni sono, invece, state al di sotto delle attese: 38 finora, per un importo complessivo di 6,7 miliardi di euro. Le ultime hanno riguardato l’azienda alimentare Rigoni di Asiago, che ha emesso un minibond da 5 milioni di euro per finanziare l’acquisizione di uno stabilimento ex Paluani a Trento, e Psc, attiva nell’impiantistica tecnologica e nei sistemi di condizionamento, che ha deciso di chiedere 5 milioni al mercato per finanziare la crescita

Quanto ai costi, un’indicazione arriva dall’Extramot Pro, listino creato all’inizio del 2013, dedicato alla negoziazione di obbligazioni emesse da società di capitali, anche non quotate. Il tasso medio pagato dalle società presenti su questo listino (la quotazione è un’opportunità, ma non un obbligo per gli emittenti) ammonta al 6,65%. A questo vanno aggiunti i costi di emissione e gestione (che variano in maniera sensibile in base alle caratteristiche dell’operazione, attestandosi in genere tra l’1,5 e il 2% della somma collocata sul mercato), cosa che spiega perché l’importo emesso debba superare certe soglie critiche, al di sotto delle quali i costi fissi non risultano facilmente ammortizzabili.

Gli addetti ai lavori. Secondo Ciro Mongillo, ceo di Vesta industrial – Fysis sicav sif, sul fronte della domanda il mercato dei minibond è ormai decollato, mentre la prudenza degli emittenti era da mettere in contro a fronte di un sistema imprenditoriale, come quello italiano, tradizionalmente bancocentrico. «Dal punto di vista normativo è stato fatto molto in questi anni e anche i costi sono stati ridotti», sottolinea Mongillo. Secondo il quale non sono ipotizzabili emissioni al di sotto dei 2-3 milioni di euro e per finalità diverse dalla crescita («questi strumenti non possono servire a sostenere l’azienda che, per vari motivi, non riesce a ottenere finanziamenti dal sistema bancario o che ha necessità di ristrutturare il debito o di finanziare il circolante», spiega).

Dello stesso avviso è Giovanni Scrofani, responsabile progetto del fondo Progetto minibond Italia di Zenit sgr, per il quale l’anno in corso è quello della svolta per il mercato, con 24 nuove quotazioni. «Il mercato adesso si sta muovendo verso lo strumento dell’obbligazione convertibile e una maggiore standardizzazione delle caratteristiche di emissione», spiega. «Gli step successivi potrebbero essere rappresentati dal ricorso alle cartolarizzazioni e alla quotazione dei fondi dedicati per superare il vincolo di riservatezza ai soli investitori qualificati oltre a un maggior coinvolgimento dei fondi pensione, come potenziali investitori istituzionali di riferimento».

Per Umberto Piattelli, partner dello studio Osborne Clarke, «l’ostacolo principale che le Pmi intenzionate a percorrere questa strada hanno affrontato è stato inizialmente legato ai costi di emissione, oltre alla mancanza di investitori istituzionali interessati a questo tipo di prodotto. Le agenzie di rating esistenti applicavano infatti procedure e onorari non compatibili con emissioni di piccolo importo, che divenivano quindi difficilmente realizzabili. Successivamente questi problemi sembrano essere stati superati», aggiunge. «Si tratta di un’interessante opportunità, a patto di avere società emittenti che abbiano conti in regola e non siano già oberate dai debiti verso il sistema bancario», conclude.

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