Pagina a cura di Tancredi Cerne  

Cala il numero dei mancati pagamenti delle imprese in Italia. Ma cresce l’importo medio. Nei primi sei mesi dell’anno il numero delle aziende della Penisola che non sono riuscite a far fronte ai propri contratti saldando le fatture ricevute ha segnato una diminuzione del 10% rispetto allo stesso periodo del 2012 (quando il dato aveva fatto registrare un incremento del 15%).

Tendenza, questa, ancora più marcata estendendo l’analisi al di fuori dei confini nazionali. La frequenza (numero) dei mancati pagamenti all’export ha segnato infatti una decisa contrazione tra gennaio e giugno, arretrando del 15% se confrontata con il primo semestre di un anno fa. A dimostrazione del fatto che la scrematura del mercato è già in parte avvenuta e l’economia italiana, dopo aver toccato un livello minimo congiunturale, si è incanalata sulla strada della ripresa. La fotografia è stata scattata dal colosso dell’assicurazione crediti, Euler Hermes Italia, nell’ambito della ricerca sugli andamenti dei pagamenti delle imprese dello Stivale realizzata su scala nazionale attraverso l’analisi della banca dati dei pagamenti di 450 mila aziende.

Ma non è tutto oro quel che luccica. Se è vero infatti che sono diminuiti per numero i mancati pagamenti da parte delle aziende della Penisola, l’ultimo semestre ha messo in evidenza un deciso incremento (+13%) dell’indicatore della severità dei mancati pagamenti (ovvero il loro importo medio) mentre sui mercati esteri il valore si è mantenuto su livelli stabili (-1%). E questo, a dimostrazione dello spostamento della crisi verso le aziende di maggiori dimensioni. I livelli degli importi medi dei mancati pagamenti sul mercato export si sono infatti mantenuti stabili anche se un forte deterioramento si è registrato su alcune aree dell’Europa centrorientale come Polonia, Romania e Repubblica Ceca. «La lieve decelerazione del numero degli insoluti tra le imprese è lo specchio del rallentamento economico nazionale nel quale anche le imprese mostrano segnali di stallo nelle transazioni commerciali», ha spiegato Michele Pignotti, numero uno di Euler Hermes per la regione Paesi Mediterranei, Africa e Medio Oriente. «L’incremento degli importi medi è invece il risultato di una crisi che colpisce le imprese di dimensioni più rilevanti e di un ambiente economico ormai fortemente deteriorato. L’export», ha aggiunto Pignotti, «continua a essere un sentiero da percorrere ma nei mercati in crescita e con i giusti partner che possano garantire uno sviluppo sano nel lungo periodo».

 

Lo spaccato italiano. Ma quali sono stati i comparti economici maggiormente colpiti dal problema dei mancati pagamenti in Italia? In base all’analisi di Euler Hermes, la maggior parte dei comparti economici analizzati ha fatto segnare un incrementato nel livello di rischiosità. «Tra gennaio e giugno scorsi hanno sofferto particolarmente le aziende attive nel comparto delle commodities (frequenza +15% e severità +49%) con in primis il settore dell’energia e dei carburanti, fortemente caratterizzati da una bassa marginalità e una elevata necessità di circolante», si legge nel rapporto. Seguono la siderurgia, con una sovraccapacità dovuta al calo di produzione e ordinativi dei settori a valle. Nei primi sei mesi del 2013 questo comparto ha fatto registrare frequenza e severità in crescita rispettivamente del 24% e del 64% così come il comparto automotive, indebolito dalla decisa flessione della domanda interna ed estera. Segnali di parziale ripresa, invece, per il tessile, dove alcuni distretti hanno saputo posizionarsi sulla fascia alta crescendo al di fuori dell’Europa. Indicatori in miglioramento sul mercato interno si sono infine registrati nelle imprese della filiera alimentare e della carta.

Lo spaccato territoriale del rapporto ha invece evidenziato una diminuzione della frequenza dei mancati pagamenti in un numero maggiore di regioni. Tra queste, anche alcune meridionali che sembrano aver passato il momento peggiore. La maglia nera nella frequenza dei mancati pagamenti del primo semestre dell’anno è andata alla Valle d’Aosta che ha fatto segnare un incremento del 20% rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Male anche l’Abruzzo (+19%) e la Puglia (+10%), mentre Umbria, Emilia Romagna e Veneto hanno chiuso i primi sei mesi con progressi compresi tra il 3 e il 4 per cento. Situazione inversa in alcune regioni del Centro e sud Italia. A dominare la classifica dei migliori sono state le Marche dove la frequenza dei mancati pagamenti si è ridotta di quasi un terzo (-31%) nel primo semestre dell’anno. Bene anche Basilicata e Campania (-29%), mentre Liguria e Sicilia hanno visto contrarsi la percentuali delle imprese insolventi rispettivamente del 26 e 25%. A fronte del -21% della Toscana, -20% del Molise e -11% di Lazio e Trentino Alto Adige. «I livelli di rischiosità delle transazioni commerciali nel mercato interno saranno ancora molto elevati per tutto il 2013 nella maggior parte dei settori del made in Italy», ha dichiarato Massimo Reale, direttore fidi Euler Hermes Italia. «Le piccole e medie imprese, già sottocapitalizzate, continuano ad affrontare una situazione di ristrettezza finanziaria legata principalmente alla mancanza di liquidità su due fronti: da un lato la difficoltà di accesso al credito presso il sistema bancario, dall’altro i ritardi nei pagamenti da parte delle grandi imprese per beni e servizi erogati. Segnali di ripartenza si intravedono nel tessile», ha concluso Reale, «che punta sull’alto di gamma nei mercati extra Ue». Situazione molto variegata all’interno dello Stivale anche in relazione alla severità dei mancati pagamenti. Nel Lazio e in Valle d’Aosta, questo indicatore è praticamente raddoppiato nel primo semestre 2013 rispetto allo stesso periodo di un anno prima. Male anche il Friuli-Venezia Giulia (+82%) e il Trentino-Alto Adige (+73%), a fronte del 45% di incremento dell’Umbria, 26% della Sardegna, 24% della Basilicata e 21% della Lombardia. Segno meno invece in Molise con una contrazione della severità del mancati pagamenti dell’81% tra gennaio e giugno scorsi. Meno 57% invece in Liguria, -44% in Calabria e -26% in Emilia Romagna.

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