Il passaggio pro rata al metodo di calcolo contributivo delle pensioni nelle casse di previdenza di vecchia generazione, in molti casi reso obbligatorio dalla legge 214/2011 (si veda altro servizio a pagina 3), porta in dote il problema dell’adeguatezza delle prestazioni. Le riforme che molti enti si accingono ad approvare, infatti, garantiranno la sostenibilità a 50 anni richiesta dalla legge. Ma, allo stesso tempo, promettono pensioni da fame per gli iscritti. Si pensi solo al caso della cassa dei dottori commercialisti che nel 2004 decise di abbandonare il metodo retributivo (che allora garantiva pensioni pari all’80% dell’ultimo reddito) per il meno generoso calcolo contributivo (che stando ai calcoli del tempo prometteva un assegno pari al 20% dell’ultimo reddito). Insomma un taglio netto che non ha mancato di dare vita a quel conflitto intergenerazionale destinato a scoppiare anche in tutte quelle gestioni previdenziali che, per forza di cose, sono costrette oggi a cambiare le regole del gioco. E dare meno alle future generazioni. Rispetto al 2004, però oggi le cose sono un po’ cambiate ed è possibile guardare alla storia di quelle casse che da qualche anno si stanno adoperando per migliorare per tempo l’adeguatezza delle future pensioni. Proprio l’istituto previdenziale dei dottori commercialisti, in questo senso, vanta la più ampia esperienza in merito. A inizio 2012, infatti, si è concluso l’iter di una travagliata riforma dell’aliquota di computo. La Cnpadc, sulla scorta di una forte sostenibilità, ha avuto l’ok dai ministeri vigilanti alla delibera che ha portato per gli iscritti all’aumento del contributo soggettivo dal 10 al 12% in tre anni potendo sempre contare su un contributo integrativo (pagato interamente dal committente) al 4%. Ma con un vantaggio: l’accantonamento sul conto corrente virtuale del professionista di una somma maggiore rispetto a quella versata. Un surplus di risparmio di cui si fa carico l’ente. Ma non solo. L’ultima delibera approvata dall’assemblea dei delegati chiede ai ministeri vigilanti di poter sfruttare il meccanismo della riforma Lo Presti (legge 133/2011) che permette di destinare una quota parte del contributo integrativo al montante individuale del commercialista. Permettendo così di far pagare alla collettività un pezzo di pensione del professionista. Ma a sfruttare la riforma sono stati anche gli enti di nuova generazione, nati nel 1996 direttamente con il metodo contributivo. Infermieri e periti industriali (si veda tabella in pagina) hanno visto nei mesi passati entrare in vigore l’aumento graduale dei contributi soggettivi in cambio dell’innalzamento dell’aliquota integrativa. Un combinato di misure che nel tempo promette pensioni almeno pari al 50% (contro il 20% ante-riforma) rispetto all’ultimo reddito. E mentre i biologi sono in attesa della loro riforma, chimici, agronomi e forestali, attuari e geologi studiano il cambiamento.