Potrebbe anche trattarsi dell’ultimo tentativo di difesa in una battaglia ormai persa. Fatto sta che, dopo il recente passo falso rappresentato dalla sigla «per presa visione» del «papello» con i desiderata di Salvatore Ligresti, in molti ormai danno Alberto Nagel per prossimo all’uscita in Mediobanca, dove ricopre il ruolo di ad. Che sia così o meno, però, dall’intervista rilasciata ieri a Repubblica dal manager quarantasettenne, sembra emergere ben più di una tensione con due importanti membri del patto di sindacato, che nel complesso assembla il 42,13% di Piazzetta Cuccia. Innanzi tutto con Vincent Bolloré, che rappresenta i soci francesi del gruppo C (10,93% della merchant bank); e in seconda battuta con con Silvio Berlusconi, il quale, oltre che ex premier e attuale numero uno del Pdl, attraverso Fininvest (1%) rappresenta una parte importante dell’azionariato industriale. Senza contare, poi, che Berlusconi è anche socio di Mediolanum, pure presente nel patto, ma nel gruppo A delle banche, insieme con Unicredit, che di Piazzetta Cuccia è primo azionista con l’8,66 per cento. È soprattutto un passaggio dell’articolo a deporre a favore della tesi di una presa di distanza di Nagel verso Bolloré e Berlusconi. Quello in cui il vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini, sostiene che, con il sostegno esplicito del Cavaliere, in quel momento capo di un governo che aveva stravinto le elezioni, Geronzi e Bolloré «hanno cercato di entrare da padroni» – questo il virgolettato attribuito a Nagel – nella Galassia attraverso la testa di ponte della famiglia Ligresti.
La questione Bolloré – fa notare un osservatore – potrebbe essere ricollegata alla necessità, ricorrente e risalente ancora all’epoca del plenipotenziario Enrico Cuccia, di arginare le velleità dell’ala di azionisti stranieri. Quanto a Berlusconi, considerato che, a livello politico, probabilmente mai come in questo momento il Pdl è stato così debole, qualcuno ha interpretato il ragionamento attribuito all’ad di Mediobanca come un modo per prendere le distanze da un mondo ormai passato, magari con l’obiettivo di riaccreditarsi in un contesto politico in cerca di nuovi equilibri. Una mossa che, comunque, va inquadrata in un momento in cui la stessa Mediobanca è debole: non soltanto Nagel è indagato dalla Procura milanese per il presunto accordo con la famiglia Ligresti, ma di recente la merchant bank ha perso una battaglia finanziaria importante su Impregilo. Per non parlare poi della crisi che non ha certo risparmiato le principali partecipazioni in portafoglio a Mediobanca (Generali, Rcs e Telecom Italia) e dello stesso titolo di Piazzetta Cuccia, che a Piazza Affari nell’ultimo anno ha ceduto quasi il 50 per cento. I più stretti collaboratori di Nagel, tuttavia, gettano acqua sul fuoco e fanno notare che l’ad di Mediobanca ha sempre espresso apprezzamento per il sostegno all’indipendenza dell’istituto che sia Berlusconi sia i soci francesi hanno sempre garantito. Probabilmente le parole dell’ad di Piazzetta Cuccia potranno essere meglio comprese solo tra qualche mese. Intanto, però, settembre potrebbe essere decisivo. Sia per capire che strada prenderà l’indagine della Procura milanese su Fonsai, sia per capire se il cda di Mediobanca (dove siedono anche Pier Silvio Berlusconi e Anne-Merie Idrac, in rappresentanza rispettivamente di Fininvest e Bolloré), che potrebbe riunirsi a inizio mese, si accontenterà dell’informativa sulla vicenda che Nagel potrebbe fornire.