di Anna Messia

Aiuto, il fondo italiano rischia la deriva con un balzo indietro di oltre 15 anni. Chi sperava che la parificazione fiscale rispetto ai prodotti esteri potesse dare nuova linfa al settore finora è rimasto deluso. Almeno per ora la manovra non ha prodotto l’ effetto benefico sperato. Anzi, il peso dei prodotti definiti roundtrip, creati dai gestori italiani all’estero proprio l’anno scorso (a dicembre il patrimonio era di 163 miliardi) ha superato i fondi di diritto italiano (153 miliardi) e nonostante il correttivo fiscale (con i fondi italiani che da luglio dell’anno scorso sono tassati sul realizzato proprio come i concorrenti esteri) l’industria del risparmio gestito tricolore continua inesorabilmente a perdere importanza, anno dopo anno, mentre il patrimonio non smette di registrare perdite miliardarie. La fotografia appena scattata dall’ufficio studi di Mediobanca, in sintonia con quanto sostenuto in passato, spesso con strascico di polemiche, è poco confortante. Un dato su tutti è emblematico dello stato di crisi che il fondo di diritto italiano sta attraversando: il ridimensionamento dell’industria, scesa alla tredicesima posizione nel contesto internazionale, ha fatto sì che a fine 2011 il patrimonio complessivo rappresentasse appena l’8% del prodotto interno lordo italiano contro il 42% toccato nel 1999 e il 10,7% dello scorso anno. Un salto indietro per l’industria di oltre 15 anni, ai livelli del 1995, quando il peso sul pil dei fondi di diritto italiano era del 7,4%, e stava per prendere avvio una fase di crescita esplosiva, tanto che di già l’anno successivo il rapporto sarebbe lievitato al 10,6%. Ora invece l’industria è nel pieno di una fase depressiva e, dopo aver giocato la carta della parificazione fiscale, a questo punto si fa fatica a individuare un altro intervento che possa essere utile a dare nuovo sprint ai prodotti di diritto italiano. Anche perché sono gli stessi gestori italiani che preferiscono andare sempre di più all’estero (preferibilmente in Lussemburgo ma anche un po’ in Irlanda) a creare fondi per poi distribuirli in Italia. Perché costituire fondi e sicav in Lussemburgo è molto più rapido e veloce rispetto all’Italia. Ma il risultato è che nel primo trimestre di quest’anno i roundtrip, promossi appunto dai gestori italiani, hanno segnato un volume di sottoscrizioni nette pari a 1,9 miliardi, mentre i fondi di diritto italiano hanno continuato a perdere altri 5,4 miliardi. Tra l’altro anche mettendo insieme i fondi di diritto italiano con i roundtrip l’incidenza sul Pil si ferma comunque a poco più del 16% e resta molto più bassa rispetto alla media europea dove dal 1999 a oggi c’è stato un incremento dal 48 al 63%. L’analisi annuale realizzata dall’ufficio studi di Mediobanca riguarda però esclusivamente i prodotti di diritto italiano. La banca ha messo sotto osservazione 965 fondi, con un tasso di rappresentatività di circa il 94% e le notizie negative, non c’è che dire, predominano sulle buone novelle: l’anno scorso il comparto ha subito riscatti per 27 miliardi di euro ma anche dal punto di vista dei risultati ottenuti dai risparmiatori, oltre che dei costi, non c’è di che essere orgogliosi. I fondi hanno chiuso il 2011 con una perdita, al lordo delle imposte, di 5,5 miliardi, su un patrimonio più che dimezzato rispetto all’anno precedente. In termini di performance questo risultato si è tradotto in un rendimento medio negativo del 2,2%, mentre un Bot comprato a inizio 2011 (prima della bufera sugli spread che ha fatto schizzare i rendimenti sui titoli di Stato italiani) avrebbe reso l’1,8%. Nel confronto con i Buoni del Tesoro i fondi italiani escono quindi perdenti, con una differenza che nel 2011 è stata pari al 4%. E anche prendendo a riferimento i soli fondi obbligazionari, che l’anno scorso hanno perso in media lo 0,7%, l’industria del gestito è rimasta quindi indietro sul Bot. Non solo. Pure in un orizzonte temporale più lungo le cose non vanno meglio: dalla nascita dell’industria (1984) a oggi, secondo i calcoli dell’ufficio studi di Mediobanca, i fondi hanno avuto un rendimento medio annuo del 5,6%, mentre comprando ogni anno un nuovo Bot il risparmiatore avrebbe avuto un guadagno del 6,2% all’anno, con uno scarto pari quindi allo 0,6% ogni anno. Colpa anche dei costi, segnalano dall’ufficio studi della banca milanese, che nonostante nel 2011 siano rimasti fermi all’1,2% del patrimonio «nel comparto azionario raggiungono una media del 2,2%, quasi tre volte superiore rispetto ai fondi venduti negli Usa». Anche la rotazione dei portafogli, cioè la compravendita dei titoli da parte dei gestori, che incide sui costi perché ingenerano commissioni di negoziazione, è piuttosto elevata (pari a otto mesi) se confrontata per esempio con i fondi statunitensi che invece hanno una frequenza di rotazione pari a poco meno di due anni. In pratica, in media, i gestori italiani modificano completamente il proprio portafoglio ogni otto mesi denotando una gestione particolarmente attiva, che sembra guardare più ai profitti di trading che agli investimenti di lungo periodo. (riproduzione riservata)