Il Sole 24 Ore evidentemente vuole che crediamo alla Befana. Nell’inserto Plus di sabato 4 agosto si spiega così il mantenimento in vita della Covip: il costo della Vigilanza sui fondi pensione è a carico dei vigilati, che a tal fine versano oltre 11 milioni di euro a fronte di un organico effettivo di circa 60 dipendenti e teorico di 80. Vi è dunque autonomia finanziaria. In più la Covip era stata associata nella soppressione all’Isvap (l’Istituto di controllo delle assicurazioni) esclusivamente per non lasciare quest’ultimo solo nella trasformazione. Insomma, una questione di soldi – come se l’onere a carico dei controllati dovesse essere incompatibile con l’esercizio della funzione nel contesto di un ente più grande con altre competenze, qual era originariamente l’Ivarp – e di compagnia, da concedere all’Isvap per addolcirne la soppressione con l’attribuzione delle competenze a un nuovo istituto. E dunque, riconsiderato in positivo l’aspetto finanziario ed evidentemente rimeditata in negativo l’esigenza della compagnia, si è deciso, con il voto al Senato sul decreto legge riguardante la spending review, di non far defungere la predetta Commissione. C’era chi pensava che con l’originaria riforma si compiva un primo passo verso la rivisitazione delle Authority? Un’operazione di migliore inquadramento della vigilanza – posta sotto il coordinamento della Banca d’Italia e affidato al dg Fabrizio Saccomanni – per corrispondere a ragioni di maggiore efficienza, trasparenza ed efficacia nel controllo dell’intero settore, collegando il risparmio assicurativo a quello previdenziale? Un segnale antilobby? Niente affatto, stando alla diagnosi di Plus. Evidentemente il governo allora ha sbagliato nel non tener conto delle risorse finanziarie, secondo questa tesi bislacca, privilegiando il bisogno di compagnia dei due soggetti, che poi è venuto meno. C’è ampio spazio per riflettere sugli specchi sui quali ci si arrampica, sperando tuttavia che si tratti di valutazioni, pur sempre balzane, attinte negli ambienti interessati e non frutto di autonoma valutazione: insomma, una sorta di relata refero senza appropriarsene. Intanto non sarebbe inopportuno, proprio per l’estrema leggerezza delle motivazioni che probabilmente hanno sostenuto a Palazzo Madama l’espunzione della Covip dal processo di revisione, che alla Camera la decisione sia rivista. Del resto la riforma era stata voluta dal governo, e allora il governo la difenda. C’è anche una questione di credibilità delle scelte che vengono praticate con un veicolo come il decreto legge. Anche perché non si può pretendere che si creda alla Befana per più del tempo necessario a stimolare l’immaginazione dei bambini. Ma è anche vero che sulla spending review il governo ha posto la fiducia che comincia oggi a essere discussa. E allora i tempi potrebbero non esservi più per un salutare ripensamento. Quanto meno si abbia la forza di produrre un ordine del giorno a livello parlamentare o di una dichiarazione, da parte del governo, che sancisca l’impegno a riprendere la materia in un contesto più generale.