Profitti semestrali raddoppiati a 1,32 miliardi nonostante la svalutazione di titoli greci. Ghizzoni non crede al default dell’Italia e chiede alla classe politica di rilanciare la crescita 

di Andrea Di Biase

In una giornata difficile per i titoli delle principali banche tedesche e francesi, le azioniUnicredit hanno chiuso la seduta di ieri in rialzo dell’1,77% a 1,147 euro, in controtendenza anche rispetto a Piazza Affari (-1,54% il Ftse-Mib).

 

Merito dei conti semestrali superiori alle attese diffusi ieri dalla banca di Piazza Cordusio e delle rassicurazioni sulla liquidità fornite al mercato dal ceo Federico Ghizzoni. Unicredit ha chiuso il primo semestre dell’anno con un utile netto di 1,32 miliardi (+97,5% rispetto ai primi sei mesi del 2010). Di questi 511 milioni sono riferiti al secondo trimestre, che è stato però influenzato negativamente da 105 milioni di impairment su titoli governativi greci (impatto al netto delle tasse). Al netto di tale voce, il risultato semestrale ammonterebbe a 1,42 miliardi, e quello trimestrale a 616 milioni. Nonostante l’utile del secondo trimestre sia dunque diminuito del 37% rispetto ai primi tre mesi dell’anno, a causa del minore contributo dei proventi da negoziazione, il risultato è comunque in forte crescita rispetto ai 148 milioni dello stesso periodo del 2010. Merito delle minori rettifiche su crediti, scese a 1,18 miliardi rispetto agli 1,71 miliardi di un anno fa, che hanno più che compensato l’aumento degli accantonamenti per rischi e oneri, passati da 106 a 244 milioni (nel semestre Unicredit è stata condannata al pagamento di una provvisionale di 200 milioni nell’ambito del processo Cirio).

Ma non sono stati solo i buoni risultati gestionali, che hanno permesso al vertice di Piazza Cordusio di confermare come «possibile» il raggiungimento a fine 2011 dei 2,6 miliardi di utili attesi dagli analisti, a incontrare il plauso del mercato. Anche il costante miglioramento della solidità patrimoniale dell’istituto, con il Core Tier 1 ratio salito al 9,12% a fine giugno, e la buona posizione di liquidità, che almeno per il momento sterilizza l’effetto sul costo della raccolta dell’aumento dei rendimenti dei titoli pubblici italiani, sono apparsi come elementi positivi. Sotto il primo aspetto Ghizzoni ha ribadito che un eventuale aumento di capitale diUnicredit non è un tema in agenda e che le azioni di capital management verranno comunque decise nell’ambito del piano triennale, che sarà presentato nell’ultimo trimestre del 2011.

Sotto il profilo della liquidità il ceo di Piazza Cordusio ha sottolineato come a fine giugno Unicredit ha ultimato l’85% del piano di finanziamento per l’intero 2011, per un totale di 27,2 miliardi in titoli emessi tassi di gran lunga inferiore a quelli che la banca potrebbe spuntare attualmente per via dell’aumento dello spread sul debito pubblico italiano. Un risultato che è stato possibile anche grazie alla diversificazione geografica del gruppo, visto che il 37% della nuova finanza è stata raccolta in Germania e Austria. Ghizzoni, pur esprimendo preoccupazioni sulla situazione italiana, ha comunque affermato di non credere «al default tecnico, perché l’Italia è un Paese, con un rapporto tra ricchezza delle famiglie e debito che ci pone al top delle classifiche». Il vero problema, ha sottolineato l’ad di Piazza Cordusio, è la scarsa crescita del Paese e la mancanza di coesione della classe politica. L’esposizione di Unicredit ai titoli italiani è comunque limitata, pari a 40 miliardi di euro, il 5% del totale degli attivi del gruppo. «Siamo tra i più bassi in Italia e altrove nella proporzione sul totale degli attivi», ha concluso Ghizzoni. (riproduzione riservata)