Covip analizza come le forme di previdenza integrativa si comportano durante le crisi dei mercati a seconda dell’asset allocation. I fondi italiani superano l’esame 

di Carlo Giuro

Quale deve essere l’obiettivo finanziariamente adeguato di un piano di previdenza integrativa? Quello di realizzare una crescita graduale e costante del flusso contributivo lungo l’arco della vita lavorativa per costruire un congruo montante da convertire in rendita al raggiungimento dell’età pensionabile. Realizzare cioè il giusto equilibrio tra rischio e rendimento proiettati in un orizzonte temporale di lungo periodo.

Sul tema si sofferma in maniera approfondita la Covip nella sua recente Relazione annuale con delle riflessioni davvero interessanti. La Commissione è partita dall’esame delle serie storiche relative all’andamento dei mercati finanziari dei principali Paesi avanzati, pur nella consapevolezza che la valenza informativa dei dati storici può essere inficiata dai cambiamenti di rilievo che intervengono nel lungo periodo.

 

Il concetto di rischio. In genere si identifica il rischio con la variabilità; altro aspetto da considerare nel valutare l’investimento, strettamente legato alla variabilità, è il rischio della perdita massima che da esso può derivare. L’aderente a un piano previdenziale deve allora verificare, oltre che la probabilità di uno scostamento contenuto dal risultato medio, anche la probabilità di subire una perdita superiore a quella che è disposto a sostenere. Come evidenza l’autorità di vigilanza i dati empirici confermano la relazione rischio-rendimento ipotizzata nella letteratura finanziaria.

Gli strumenti più rischiosi (in termini di variabilità annua dei rendimenti) sono anche quelli che, nei 110 anni considerati, hanno reso di più.

I rendimenti annui delle azioni, pur risultando in media più elevati di quelli delle obbligazioni (sia a breve termine, sia a medio-lungo termine), presentano una variabilità decisamente superiore. In particolare, se si prende a riferimento la serie aggregata degli strumenti finanziari di tutti i Paesi considerati, si può rilevare che in media le azioni hanno reso, in termini reali, il 5,4% rispetto all’1,7% delle obbligazioni a medio-lungo termine.

La variabilità del rendimento annuo delle azioni tuttavia è pari 17% rispetto al 10% di quella delle obbligazioni. In considerazione della natura del fondo pensione di investitore di lungo periodo la Commissione ha ritenuto poi tuttavia utile calcolare la variabilità dei rendimenti riferiti a periodi più lunghi, sia delle azioni sia delle obbligazioni. Per periodi di 40-50 anni, la variabilità dei rendimenti azionari scende al di sotto del 2%, quella dei rendimenti obbligazionari, pur decrescendo anch’essa, si attesta a valori, anche se di poco, superiori a quella dei rendimenti azionari.

I dati storici mostrano dunque che nel passato un investimento in azioni per un periodo sufficientemente lungo sarebbe risultato, in media, meno rischioso di un investimento in obbligazioni.

Da quanto appena descritto deriva che i titoli azionari, il cui rendimento di norma supera quello delle obbligazioni, all’allungarsi della durata dell’investimento diventano più convenienti anche sotto il profilo della rischiosità.

 

Gli andamenti dei mercati nei periodi di crisi. È molto interessante l’analisi in occasione delle crisi più importanti dei mercati azionari. Nel 1929, se un investitore avesse acquistato titoli azionari all’inizio dell’esercizio, dopo tre anni il suo capitale sarebbe risultato pari a meno della metà di quello iniziale. In una situazione simile si sarebbe venuto a trovare chi avesse deciso di acquistare azioni all’inizio del 1973: alla fine del 1974 il suo capitale sarebbe stato pari al 53% di quello iniziale.

Chi avesse investito in azioni all’inizio del 2000 si sarebbe ritrovato alla fine del 2002 con il 56% del capitale. Infine, chi avesse deciso di acquistare titoli di capitale all’inizio del 2008, alla fine dell’anno si sarebbe ritrovato con meno del 60% dell’investimento.

È utile misurare anche i tempi di recupero della perdita subita. Nella crisi del 1929 il rendimento dell’investimento è tornato a essere positivo alla fine del 1935, dopo quattro anni dalla perdita massima. Nella crisi degli anni ’70 il recupero ha richiesto nove anni dalla perdita massima, in quella del 2000 4 anni. Per quanto riguarda la crisi del 2008, alla fine del 2010 l’investitore avrebbe avuto l’88% del capitale, recuperando quindi buona parte della perdita. I tempi di recupero rispetto a perdite particolarmente elevate possono quindi diventare un importante elemento di valutazione della rischiosità dell’investimento.

 

Rischio e piano previdenziale. Un piano previdenziale, come evidenzia la Covip, presenta alcune peculiarità rispetto ad altre forme di investimento. Per un capitale investito in un’unica soluzione, il momento in cui si verifica la crisi, all’inizio o alla fine del periodo, è sostanzialmente indifferente non modificando l’effetto sul rendimento finale.

Il piano previdenziale prevede invece versamenti distribuiti in un arco temporale ampio per cui se la crisi si verifica all’inizio del periodo, essa interesserà somme di ammontare contenuto. Se si verifica alla fine, ne risulterà coinvolto gran parte del capitale accumulato con effetti potenzialmente molto rilevanti. Per approfondire l’analisi della convenienza di un profilo azionario rispetto a uno obbligazionario i dati a disposizione sono stati utilizzati allora dalla Covip per simulare piani pensionistici di diversa durata. In particolare, è stato ipotizzato un piano pensionistico che prevede versamenti annuali inizialmente pari a 2.500 euro e successivamente rivalutati anno per anno dell’1%. Sono stati considerati piani di durata pari da 1 a 40 anni (non sono state considerate interruzioni nei versamenti) con composizione ipotizzata sia al 100% in azioni che al 100% in obbligazioni. Se si esamina un arco temporale limitato a un solo anno l’investimento azionario risulta migliore in circa il 67% dei casi, tale percentuale sale al 75% per un piano di cinque anni e al 98% per un programma quarantennale.

Utilizzando la stessa simulazione storica l’Autorità ha ritenuto utile verificare più in dettaglio cosa accade per il piano di durata quarantennale. Considerando che la serie storica è composta dai rendimenti che vanno dal 1900 al 2009, si hanno i risultati di 70 piani investiti nel portafoglio azionario e di altrettanti in quello obbligazionario (che si concludono negli anni che vanno dal 1939 al 2009).

Più nello specifico esaminando per semplicità i rendimenti medi, emerge che il rendimento medio di un piano investito interamente in titoli obbligazionari è risultato più elevato rispetto al piano azionario in soli due casi. In entrambi il divario sarebbe stato sostanzialmente irrilevante. Il piano azionario risulta poi più conveniente non solo per il numero di volte in cui il rendimento è risultato superiore rispetto a quello obbligazionario, ma anche per l’ampiezza del divario osservato in gran parte dei casi tra i due rendimenti. Le analisi condotte sembrano dimostrare nettamente la convenienza, nel lungo periodo, di un investimento in azioni rispetto a uno in obbligazioni.

 

La Covip conclude però con delle doverose precisazioni con in cima a tutte l’evidenziazione che le analisi dei dati storici permettono di esaminare ex-post il comportamento dei mercati finanziari: esse hanno un limite evidente nella capacità previsionale. (riproduzione riservata)