Pagina a cura di Daniele Cirioli  

Nelle coppie con elevata differenza d’età (cioè 20 anni), la durata dell’unione matrimoniale diventa variabile per la pensione. Dal prossimo anno, infatti, la misura piena della reversibilità sarà concessa soltanto quando la torta nuziale sia stata tagliata (almeno) dieci anni prima, altrimenti per ogni anno in meno scatterà una riduzione del 10%. A stabilirlo è la manovra correttiva estiva (legge n. 111/2011), con una disposizione battezzata «norma anti-badanti».

Reversibilità, un pensione senza contributi. La pensione di reversibilità è una prestazione economica erogata, a domanda, in favore dei familiari del pensionato (in tal caso si chiama proprio «pensione di reversibilità») o del lavoratore avente diritto alla pensione (in tal caso si chiama «pensione indiretta»). Nel 2010 solo l’Inps ne ha erogate quasi 4 milioni (il 25% circa del totale pensioni corrisposte), con un assegno medio annuo di 7.282 euro. È una prestazione che spetta al coniuge superstite, anche se separato o divorziato; ai figli (legittimi o legittimati, adottivi o affiliati, naturali, riconosciuti legalmente o giudizialmente dichiarati, nati da precedente matrimonio dell’altro coniuge); ai nipoti minori (equiparati ai figli). In mancanza di coniuge, figli e nipoti la pensione può essere erogata ai genitori ovvero ai fratelli celibi inabili e sorelle nubili inabili.

Una bella eredità. Se a passar a miglior vita è un «pensionato», significa che la pensione è già in erogazione: dunque, agli eredi andrà una quota di quell’assegno già fruito dal dante causa. Quando invece il trapasso è di un lavoratore (non pensionato), affinché questi possa lasciare in eredità ai congiunti una pensione occorre che avesse già maturato almeno 780 contributi settimanali oppure almeno 260 contributi settimanali di cui almeno tre nel quinquennio antecedente la data di decesso (requisiti previsti per l’assegno ordinario d’invalidità). Il familiare superstite di un lavoratore assicurato al 31 dicembre 1995 (prima della riforma «contributiva» delle pensioni) deceduto senza aver perfezionato i requisiti può richiedere l’indennità per morte qualora: il lavoratore deceduto non aveva ottenuto la pensione diretta, non sussiste per nessuno dei superstiti il diritto alla pensione indiretta, nei 5 anni precedenti la data di morte risulta versato almeno un anno di contributi (la domanda per ottenere l’indennità va presentata, a pena di decadenza, entro un anno dalla data del decesso del lavoratore assicurato). Il familiare superstite di lavoratore assicurato dopo il 31 dicembre 1995 deceduto senza ancora avere perfezionato i requisiti può chiedere l’indennità una tantum se: non sussistono i requisiti assicurativi e contributivi per la pensione indiretta; non ha diritto a rendite per infortunio sul lavoro o malattia professionale, in conseguenza della morte dell’assicurato; è in possesso di redditi non superiori ai limiti previsti per la concessione dell’assegno sociale.

Quanto vale la reversibilità. La pensione ai superstiti decorre dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso del lavoratore o del pensionato, indipendentemente dalla data di presentazione della domanda. Come detto, la pensione è rappresentata da una quota di quanto già percepiva (o avrebbe potuto percepire) il pensionato (o lavoratore) deceduto. Infatti l’importo è calcolato sulla base della pensione pagata al pensionato o che sarebbe spettata al lavoratore deceduti, applicando le seguenti percentuali:

 

  • 60%, solo coniuge;

     

  • 70%, solo un figlio;

     

  • 80%, coniuge e un figlio ovvero due figli senza coniuge;

     

  • 100% coniuge e due o più figli ovvero tre o più figli;

     

  • 15% per ogni altro familiare, avente diritto, diverso dal coniuge, figli e nipoti.

    La norma «anti-badanti». È proprio su queste percentuali (che danno la misura della pensione) che incide la misura introdotta dalla manovra, con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012. Infatti, sono quelle aliquote percentuali a essere soggette a una riduzione la cui misura dipendente dagli «anni di matrimonio» tra i congiunti, ossia tra il dante causa (cioè chi dà diritto alla pensione di reversibilità e che può, quindi, essere sia un pensionato che un lavoratore) e chi ha titolo a questa pensione. In via di principio, la nuova misura non si applica in presenza di figli minori, studenti o inabili. Se non ricorre questa situazione, per individuare i soggetti colpiti dalla riduzione occorre che siano soddisfatte contemporaneamente due condizioni:

    1) che il dante causa (chi favorisce il diritto alla pensione di reversibilità) si sia sposato (con chi ha diritto alla reversibilità) a un’età superiore a 70 anni;

    2) che la differenza tra dante causa e beneficiario (cioè tra i due coniugi) sia superiore a 20 anni.

    Se si verificano queste due condizioni, è possibile la riduzione della futura pensione di reversibilità. In tal caso infatti, le «aliquote percentuali» che determinano la misura della pensione di reversibilità sono soggette a una riduzione la cui misura dipendente dagli «anni di matrimonio»:

    a) se gli anni di matrimonio risultano (almeno) dieci non c’è alcuna riduzione;

    b) se gli anni di matrimonio risultano meno di dieci c’è una riduzione di 0,83% per ogni mese che manca al limite dei dieci anni, ossia del 10% per ogni anno che manca per il decennio.

    Per esempio, se il matrimonio è stato contratto otto anni prima scatta una riduzione del 20% perché mancano due anni a raggiungere un decennio; se è stato contratto un anno prima scatta la riduzione del 90% per mancano nove anni al decennio; e via dicendo.

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    Battuta d’arresto per i matrimoni misti

    Secondo l’Istat, nel 2009, è da segnalare una battuta d’arresto, rispetto a un trend di incremento che appariva consolidato, delle nozze con almeno uno sposo straniero. Ne sono state celebrate 32 mila (14% dei matrimoni), quasi 5 mila in meno rispetto al 2008 (36.918 matrimoni pari al 15%) e i dati provvisori sul 2010 suggeriscono un’ulteriore contrazione. A diminuire sono soprattutto i matrimoni misti, ovvero le nozze in cui un coniuge è italiano e l’altro straniero: oltre 21 mila celebrazioni, 3.191 in meno rispetto al 2008. Sempre secondo l’Istat, il calo è da ricondursi soprattutto all’introduzione dell’obbligo, a carico dello straniero che vuole contrarre matrimonio in Italia, di esibire, oltre al tradizionale nulla osta (o certificato di capacità matrimoniale), anche «un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano» (articolo 1, comma 15, legge n. 94/2009). In questo quadro, tuttavia, i matrimoni misti (in cui uno sposo è italiano e l’altro straniero) continuano a rappresentare la parte più consistente dei matrimoni con almeno uno sposo straniero, con una quota del 66,6%. La frequenza dei matrimoni con almeno uno sposo straniero è più elevata nelle aree in cui è più stabile e radicato l’insediamento delle comunità straniere, cioè al Nord e al Centro. Nel Nordest, in particolare, superano il 20% delle unioni e il 12% nel caso dei matrimoni misti. Al Sud e nelle Isole, al contrario, i matrimoni con almeno uno sposo straniero sono, rispettivamente, il 7,4% e il 6,1% del totale delle unioni (5,2% nel caso dei matrimoni misti). Nelle coppie miste, la tipologia più frequente è quella in cui lo sposo è italiano e la sposa è straniera (il 7,2% del totale a livello medio nazionale, 16.559 nozze celebrate nel 2009, con punte del 9,9% nel Nordest). Le donne italiane che hanno scelto un partner straniero sono state invece 4.798 nel 2009 (2,1%). Gli uomini italiani che sposano una straniera scelgono nel 15,5% dei casi una cittadina rumena, nel 10,2% un’ucraina e nel 9,0% una brasiliana.