Più patti di sindacato per tutti. Per blindare l’azionariato delle società quotate, alla luce dei prezzi di saldo che in questomomento offre Piazza Affari, c’è chi prova a rilanciare uno dei vecchi cavalli di battaglia della finanza all’italiana: gli accordi tra soci per limitare la circolazionedelle azioni (sindacato di blocco) o per indirizzare le decisioni in assemblea (sindacati di voto). E i candidati più illustri, secondo gli esperti, potrebbero essere big del calibro di Generali, Intesa Sanpaolo e Unicredit. L’Italia, storicamente, a differenza della maggior parte degli altri Paesi europei, presenta un’elevata incidenza di questo tipo di accordi tra azionisti (si pensi al patto di sindacato di Rcs o aquello di Mediobanca). L’ultimo patto siglato in ordine di tempo tra le big, risalente alla primavera del 2007, è quello in Telco, la cassaforte che custodisce il 22,5% in Telecom Italia, e che è attualmente partecipata da Telefonica, Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo (quando l’accordo è stato stipulato tra i soci presenziava anche la Sintonia dei Benetton). «Il patto parasociale – è uno dei punti dell’intesa – disciplina i trasferimenti delle azioni Telco, prevedendo che qualora una delle parti intenda trasferire, a qualsiasi titolo, azioni (…) debba essere osservata l’apposita procedura prevista». Tra le società italiane a maggiore capitalizzazione i cui soci non sono vincolati da patti e il cui statuto non prevede particolari limitazioni ci sono, appunto, le Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo. Due società la cui capitalizzazione, a seguito dei nuovi crolli di Borsa di ieri, si è ulteriormente ridotta: è arrivata a 19.896 milioni di euro per il Leone triestino, dopo che le azioni hanno ceduto il 3,62% chiudendo a 12,78 euro, e ha raggiunto i 24.242 milioni per Ca’ de Sass (i titoli ieri hanno perso il 7,86% a 1,489 euro). Posto che si tratta di ipotesi futuristiche, in linea teorica non è da escludere che per meglio blindare l’azionariato delle due società ed evitare quindi scalate ostili, i rispettivi soci di riferimento, ossia Mediobanca per Generali (che già coagula un gruppo di azionisti che prima di prendere decisioni si consultano) e la Compagnia di Sanpaolo per Intesa, possano organizzarsi per dare vita a un accordo trasversale che limiti la circolazione delle azioni o indirizzi in qualchemodo i diritti di voto. È invece più complesso il discorso per Unicredit, che ieri in Borsa ha ceduto il 4,32% a 1,196 euro portando la capitalizzazione a 23.095 milioni: a ostacolare qualsiasi velleità di acquisto da parte di nuovi azionisti o di rafforzamento di quelli attuali è lo statuto stesso della banca guidata dall’ad Federico Ghizzoni, che prevede la sterilizzazione dei diritti di voto oltre il 5 per cento. Ca.Sco.