di Carlo Aloisio  

Quello che sta succedendo sui mercati da qualche giorno pone molti interrogativi agli investitori che rischiano di restare travolti da situazioni cosiddette di «panic selling», che portano soltanto vantaggio agli speculatori. Dall’altro lato, non bisogna nascondersi dietro la sola giustificazione della speculazione, in quanto la situazione di crisi attuale ha visto degli ottimi sponsor in alcune decisioni o non decisioni che le autorità politiche e monetarie negli ultimi anni hanno messo in atto; in questo sono responsabili sia gli Usa sia l’Europa. I recenti scossoni che hanno mandato in fibrillazione un mercato già molto nervoso, in cui ogni mossa risulta amplificata dagli scarsi volumi dovuti alla pausa estiva, sono arrivati lunedì scorso dagli Stati Uniti. Sembra un paradosso, ma la paura di un rallentamento dell’economia Usa, che potrebbe trainare al ribasso l’economia mondiale, sta spingendo investitori e gestori a vendere i titoli di debito pubblico di molti paesi dell’area euro, in particolare quelli cosiddetti «Pigs» (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) con l’aggiunta ora dell’Italia. Ma il fenomeno non risparmia nemmeno paesi come la Francia, con la liquidità raccolta che finisce sui bund tedeschi, considerati in questa fase come bene rifugio, con le conseguenze sugli spread visti nelle ultime giornate.

Evidentemente l’euro da fastidio a molti, è inutile nascondere questa realtà e il tentativo d’indebolimento è in atto da molti mesi a questa parte, purtroppo come già detto, la latitanza politica del governo europeo e la bassa lotta di poteri tra gli stati, con la Germania in prima battuta a voler gestire le regole del gioco a proprio tornaconto, hanno fatto il resto. È mancata una vera cultura europea e gli eventi negativi di questi giorni potrebbero essere una svolta positiva in questo senso. Infatti, non aver capito che un rapido intervento, immediato e coeso già nello scorso anno alle prime avvisaglie della crisi Greca, avrebbe avuto ben altro impatto sui mercati, invece di prestare il fianco alla speculazione che ha spinto poi per contagiare anche altri paesi. Non è stato capito che lo sforzo comune avrebbe difeso anche l’euro che poi è il vero oggetto della contesa. Infatti, nel giro di un decennio, la divisa ha avuto una fortissima capacità attrattiva nei confronti dei capitali dei paesi emergenti che negli ultimi anni sono cresciuti a doppia cifra, sui mercati europei e sui relativi titoli governativi, sono triplicati negli ultimi due anni gli investimenti di paesi come la Cina, mettendo seriamente a rischio di rottura il monopolio del dollaro che ha da sempre caratterizzato i flussi internazionali. E questo evidentemente a molte istituzioni finanziarie non andava bene. Un forte campanello d’allarme per le istituzioni era arrivato con la crisi del 2008 e forse questa situazione attuale è una specie di tempo supplementare che i mercati stanno dando per sollecitare certi interventi che a parole erano stati progettati, ma che poi nei fatti sono mancati.

Le forte aspettative che c’erano sulla nuova amministrazione americana, sono via via scemate, arrivando alle ultime schermaglie che hanno, per puro calcolo politico, messo a rischio la solvibilità stessa del paese, dando il là alla tempesta delle ultime giornate; questo, insieme ad alcuni segnali di rallentamento economico Usa, è un aspetto da tenere in particolare considerazione. Grossa parte di questa crisi va quindi anche nelle occasioni perse dal 2008 di porre delle regole internazionali; è quasi paradossale che gli attacchi provengano da quelle stesse istituzioni finanziarie che molti stati hanno salvato dal fallimento con forti iniezioni di denaro pubblico e ora molte di esse mettono in dubbio la capacità stessa degli stati di gestire l’indebitamento generato dalla crisi, quindi qualcosa non ha funzionato a dovere. Quello che differenzia la crisi attuale dalle precedenti è nel cosiddetto fenomeno della globalizzazione che sui mercati si può effettivamente definire completa. Infatti, la capacità dei sistemi informativi permette di avere le notizie e i prezzi in tempo reale su qualsiasi mercato del mondo, generando così un flusso di ordini che portano alla volatilità degli scambi vista nelle ultime giornate, mettendo in difficoltà tutti quei mezzi correttivi e di controllo che in passato risultavano più facili da attuare. Le stesse agenzie di rating, che in passato hanno spesso latitato e sono state oggetto di critiche di fronte a situazioni poi sfociate in default (tra tutte Parmalat e Lehman), hanno intensificato l’attività di notifiche al mercato generando spesso più di un dubbio sulle tempistiche e le opportunità, vista anche la presenza nel loro azionariato di azionisti di rilievo nel panorama finanziario internazionale.

L’auspicio è quindi che la crisi attuale porti a mettere da parte quelle situazioni conflittuali, soprattutto in Europa che hanno indebolito la sua stessa struttura e si cominci veramente a ragionare con un’unica testa decisionale, rapida e immediata, per evitare che si ripetano situazioni tipo Grecia. Dall’altra parte dell’Oceano l’introduzione di maggiori controlli nei sistemi finanziari e una visione meno protezionistica di alcuni aspetti economici, porrebbe un grosso freno alle oscillazioni frenetiche dei mercati. E il ritorno della fiducia nelle istituzioni andrebbe di pari passo con il ritorno della fiducia sui mercati.

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