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Mentre Soros apre il family office, in Italia i ricchi si fidano sempre più dei consulenti indipendenti. Di qui il lancio di inziative da parte di professionisti e private banker 

di Paola Valentini
Negli Usa numerosi gestori potrebbero seguire l’esempio di George Soros che nei giorni scorsi ha lanciato il proprio family office per continuare a investire i 25 miliardi di asset accumulati in oltre 40 anni di carriera, dicendo addio ai clienti. Nell’attesa di vedere se il finanziere di origine ungherese inaugurerà una nuova tendenza negli States, in Italia i family office stanno già vivendo un momento d’oro. «Dopo la crisi degli ultimi anni i Paperoni sono diventati più consapevoli di quello che comprano mostrandosi più sensibili di una volta alle situazioni di conflitto di interessi che possono presentarsi in banca. Situazione che li spinge ad affidarsi a nuove formule più indipendenti», spiega un private banker. Ecco spiegato il fiorire anche sul mercato tricolore di strutture di family office che nascono non soltanto su iniziativa delle singole famiglie, come nel caso di Soros, ma anche di professionisti esterni che si rivolgono a più nuclei familiari. L’ultimo nato è Progr&Dire. «Abbiamo notato che esiste una forte necessità da parte degli imprenditori italiani di essere seguiti perché non sono ben serviti dalle banche tradizionali che tra l’altro oggi Italia sono distratte da ristrutturazioni importanti», spiega Tommaso Cartone, ex presidente di Banca Antonveneta, che a Milano ha appena fondato Progr&Dire, insieme all’avvocato Mauro Barberi, all’imprenditore Cesare Baroso, al consulente d’azienda Giorgio De Giorgi e al commercialista Giancarlo Restori. Progr&Dire ha come target patrimoni dai 20 ai 300 milioni di euro e nel suo ambito ruotano oltre 150 professionisti. Ma il settore del family office italiano è molto variegato. Nuove iniziative arrivano infatti anche da private banker con anni di esperienza in banca che decidono di mettersi in proprio. «In parallelo agli spostamenti dei professionisti tra private bank ce ne sono altri che scelgono di uscire dalle banche per dedicarsi al mestiere del family officer e avere una maggiore indipendenza», spiega Marco Mazzoni di Magstat che ha scattato la fotografia del family office italiano. «Non si arresta la crescita del settore. A fine 2010 il numero degli operatori nel family office è salito a 117 unità rispetto ai 105 del 2009 per un totale di 32,5 miliardi di patrimonio, il 5,5% del mercato del private banking», aggiunge Mazzoni. Un esempio di struttura creata da ex banker è quello di Four partners advisory sim, costituita nel 2007 a Milano da ex JP Morgan: Guido Tugnoli, Simone Rondelli, Alberto Manzonetto e Domenico Romeo. Arrivano da Banca Esperia Tito Staderini, Federico Caletti e Renzo Moretti, fondatori di Global wealth advisory sim. La struttura è presente a Milano e Roma e ha appena aperto a Bologna. È operativa da un anno Idea sim controllata al 65% da Idea alternative investments (De Agostini), da Massimo Fortuzzi (ex responsabile Italia di Merrill Lynch global wealth management), a.d. della sim e socio al 30%, e da Luigi Arturo Bianchi, presidente, azionista al 5%. Senza dimenticare Mezzetti advisory group, costituito a Milano nel 2009 da Manuela Mezzetti ex a.d. di Secofind, il family office della famiglia Zambon, ed ex-Citibank. I costi? Tra lo 0,15% e lo 0,30% del giro d’affari, ma si tratta di dati indicativi, perché tutto dipende dalla complessità dei patrimoni. (riproduzione riservata)