Il rendimento del bond decennale italiano vola fino al 6,22%, ai massimi dal luglio 1997. La soglia del 7%, che ha spinto la Grecia a chiedere aiuto all’Ue, è sempre più vicina. Si restringe il differenziale con la Spagna 

di Marcello Bussi e Stefania Peveraro

The Wall Street Journal Europe

I rendimenti dei titoli di Stato decennali di Italia e Spagna si stanno avvicinando a grandi passi alla soglia del 7%. Quando è stata toccata da Grecia, Irlanda e Portogallo, questi Paesi hanno dovuto chiedere aiuto all’Ue e al Fondo Monetario Internazionale. Ieri il rendimento del Btp decennale è salito fino al 6,22% (il massimo dal luglio 1997), mentre quello del Bonos spagnolo ha toccato il 6,46%.

 

Di conseguenza si sono allargati i rispettivi spread con il Bund tedesco (l’Italia fino a 386 punti base, la Spagna fino a 403), anche perché il rendimento di quest’ultimo è sceso al 2,39%, un livello addirittura inferiore al 2,4% registrato dall’inflazione in Germania nel mese di luglio. È la prima volta da oltre 20 anni, dai tempi della riunificazione tedesca, che la retribuzione dei Bund non basta a compensare il caro vita.

Ma la Germania è considerata un rifugio sicuro e gli investitori si liberano dei titoli di Stato dei Paesi a rischio per comprare Bund a man bassa, incuranti dei bassi rendimenti. Altri rifugi sicuri sono l’oro, che ieri ha toccato il nuovo record a 1.661,90 dollari l’oncia, e il franco svizzero, ai massimi di sempre sull’euro (1,08514) e sul dollaro (0,7643). L’allarme sulla tenuta dei conti della terza e della quarta economia di Eurolandia è sempre più acuto. E così ieri le borse europee hanno bruciato 100 miliardi di euro di capitalizzazione, con Piazza Affari ancora una volta maglia nera (-2,5%), con una raffica di sospensioni per eccesso di ribasso nella mezz’ora finale di contrattazioni.

 

In particolare sono state penalizzate le banche, a causa dell’aumento dei tassi d’interesse e dell’abbassamento dei prezzi dei titoli di Stato italiani che detengono in portafoglio.

Che l’Italia sia nel mirino almeno quanto la Spagna (il premier José Luis Zapatero ha deciso di rinviare le vacanze per controllare in prima persona l’evolversi della situazione) lo dimostra il fatto che ormai gli spread dei due Paesi sono sempre più vicini. Guardando ai massimi toccati ieri il differenziale fra Madrid e Roma si è ristretto fino a 18 punti base, mentre alle ore 20 era a 28, con il rendimento del Btp al 5,987% e quello del decennale spagnolo al 6,271%. Intanto continuano a essere diffuse affermazioni allarmistiche sulle capacità di tenuta dell’Italia. Gli strategist di Jp Morgan Chase hanno affermato che «Italia e Spagna rimarranno a corto di liquidità rispettivamente a settembre e a febbraio se perdono l’accesso ai mercati». Mentre secondo gli analisti di Natixis già adesso l’Italia non dovrebbe più finanziarsi sui mercati e «dovrebbe chiedere aiuto all’Europa». Questo perché con un debito pubblico del 120% del pil e un avanzo primario del 3% del pil, il 5% è il rendimento massimo che Roma si può permettere. La Spagna può reggere invece fino al 6,80% mentre per la Francia la soglia sale al 6,90%. Secondo un’analisi del Wall Street Journal, invece, anche con tassi al 7% l’Italia potrebbe resistere fino al 2015 (vedere il box in pagina).

 

Nei giorni scorsi erano sorte preoccupazioni sul prossimo pagamento della tranche di aiuti alla Grecia da parte di Italia e Spagna, che rischierebbe di peggiorare ulteriormente la situazione dei due Paesi. Al riguardo, ieri la Commissione europea ha confermato che un meccanismo di compensazione sarà attivato per i Paesi di Eurolandia i cui costi di rifinanziamento risulteranno troppo alti al momento del pagamento della tranche di aiuti ad Atene a settembre. «Tutti gli Stati dell’Eurozona restano impegnati a contribuire alla prossima tranche di aiuti alla Grecia. Le speculazioni che alcuni Paesi non pagheranno non hanno fondamento», ha detto Chantal Hughes, portavoce della Commissione Ue, sottolineando che «potrà essere compensato ogni Paese costretto a pagare costi di rifinanziamento più alti del tasso stabilito per la Grecia al momento del pagamento stesso della prossima tranche». Mentre il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, in un lungo intervento pubblicato ieri dal quotidiano francese Le Monde ha dato rassicurazioni sull’Italia: «Non lo diremo mai abbastanza: la situazione della Grecia è unica e non è paragonabile a quella di altri Paesi della zona euro. Nel 2011 l’Italia avrà un avanzo primario e grazie alle misure di austerità supplementari che sono state appena adottate raggiungerà l’equilibrio di bilancio nel 2014». La conclusione è che per Van Rompuy è «ridicolo» paragonare lo stato dei conti pubblici italiani e spagnoli alla situazione greca. Se a Bruxelles gettano acqua sul fuoco, da Berlino anche ieri si sono levate voci che invece soffiano sulla brace. In un’intervista alla Sueddeutsche Zeitung, Lars Feld, uno dei Cinque Saggi dell’economia tedesca e tra i consiglieri più ascoltati dalla cancelliera Angela Merkel, ha dichiarato che il pacchetto di misure per salvare la Grecia non basterà a calmare i mercati e le turbolenze riprenderanno già a settembre. Feld ha aggiunto che «il pacchetto per la Grecia non basta a riportare il Paese in una situazione finanziaria stabile, bisogna arrivare a un maggiore taglio del debito con una partecipazione più forte dei creditori privati». Riguardo al futuro dell’euro, l’esperto tedesco ha affermato di essere «preoccupato», dal momento che la crisi del debito di alcuni Paesi si è trasformata in «una seria minaccia per il sistema monetario». Feld si è anche mostrato scettico sulle possibilità che Bruxelles riesca a imporre una disciplina fiscale ai Paesi molto indebitati. «È quasi impossibile», ha detto, «poiché già lo Stato tedesco ha difficoltà a controllare le finanze dei suoi Laender. Se Berlino non è in grado di mandare un commissario per i tagli a Brema e nella Saar, come può riuscire Bruxelles a controllare le spese fatte a Lisbona e Atene?».

Sinistri scricchiolii cominciano ad avvertirsi anche in altri Paesi. Lo spread dei titoli del debito pubblico belga ha toccato ieri il massimo storico a 223 punti base, proprio a ridosso di un’asta di bond a 3 mesi accolta da una buona richiesta, mentre quello dei titoli del Tesoro di Danimarca è rimasto intatto attorno ai 25 pb. Anche se Copenaghen non fa parte di Eurolandia, resta comunque una sorvegliata speciale, perché il settore bancario è in grave crisi. Almeno 15 banche sono sull’orlo del default, almeno a sentire gli analisti di Standard&Poor’s. Il governo sta quindi mettendo a punto una normativa che possa rendere più facile alle banche in buona salute l’acquisto di quelle in crisi, senza quindi far pesare sul settore pubblico il salvataggio del sistema bancario. (riproduzione riservata)

 

 

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