Rispetto a 10 anni fa bisogna lavorare almeno 3 anni in più

 di Daniele Cirioli  

Il cantiere pensioni non chiude mai. In un decennio, si è allontanata di quattro anni la pensione di anzianità con il doppio requisito (età/contributi) e di tre quella con il solo requisito contributivo; per la vecchiaia, le donne (statali) devono lavorare cinque anni in più; tutti i pensionati, inoltre, prima di intascare la pensione devono aspettare (e lavorare) otto mesi in più.

 

Un esempio. Oggi, nel mese di agosto 2011, per avere la pensione di anzianità serve l’età di 60/61 anni e 35 anni di contributi come minimo; con questi requisiti, il primo assegno arriverà a settembre 2012. Dieci anni fa, nel mese di agosto del 2001, la pensione di anzianità si otteneva con almeno 35 anni di contributi e l’età minima di 56 anni, oppure con 37 anni di contributi a prescindere dall’età (oggi ne servono 40); in presenza di questi requisiti la pensione è arrivata a gennaio 2002 (quattro mesi dopo). Insomma, in dieci anni, il periodo di lavoro prima della pensione (di anzianità) si è allungato di cinque anni.

Nel decennio immediatamente precedente (1991-2001), l’interesse del legislatore è stato rivolto alla pensione di vecchiaia. Che, mentre nel 1991, la si otteneva con 15 anni di contributi e 60 anni d’età (55 le donne), nel 2001 occorrevano 20 anni di contributi e 65 anni d’età (60 le donne), in pratica gli stessi requisiti che servono oggi (salvo 12 o 18 mesi di attesa in più alla «finestra»).

 

Tutto qua? Assolutamente no. Perché accanto a requisiti più stringenti per ottenerla, la pensione ha subìto una potatura nella sua consistenza: è stato modificato il criterio di calcolo che ora non si basa più sulla retribuzione (o su una media di queste), ma su i contributi versati durante la vita lavorativa.

E adesso? Che cosa c’è da aspettarsi per il futuro? Nuove modifiche e nuove riforme: quelle non riuscite alla manovra-bis appena varata, ma insistenti nelle idee del Legislatore. E se parliamo di pensione, il «Partito» fa poca differenza: tutti d’accordo che serve ancora metterci mano_ ItaliaOggi Sette ha sentito Giuliano Cazzola, deputato Pdl e vice presidente della Commissione lavoro e Cesare Damiano, deputato Pd e ministro del lavoro nell’ultimo Governo Prodi.

 

Domanda.La manovra-bis è in vigore e presto andrà convertita in legge_..

Risponde Cazzola. Durante il tormentone della supermanovra m’ero chiesto i motivi per cui il Governo aveva salvaguardato la natura confidenziale della lettera di Trichet con (vero e proprio segreto di Pulcinella) le condizioni della Bce per sostenere, con un piano di acquisti, i nostri titoli di Stato. Oggi si comprende, valutando il decreto, che l’esecutivo non era in grado di portare avanti la linea coraggiosa suggerita dalla banca europea. Così la supermanovra rischia di diventare un’altra occasione perduta, esposta alle scorribande di mercati finanziari.

Risponde Damiano. Ancora una volta ci troviamo di fronte a una manovra socialmente iniqua che colpisce i redditi medio bassi e si ostina a non voler intervenire su patrimoni e rendite in modo significativo. È preoccupante, inoltre, il fatto che la manovra rileva la sua inefficacia ai fini dello sviluppo del Paese: non ci sono risorse per la crescita e questo ci condannerà ad una depressione dell’economia, a una spirale negativa anche nel futuro.

 

D. Rispetto alle attese, la previdenza è stata poco toccata dalla mannaia che ha recuperato i 45,5 mld di euro nel prossimo biennio. Che cosa poteva/doveva fare di più il Governo?

Cazzola. Sono proprio le (mancate) misure in materia di pensioni a deludere di più. In pratica, a parte un ulteriore giro di vite su talune prestazioni del pubblico impiego e sul pensionamento nella scuola, viene anticipata di quattro anni la procedura (tuttora troppo lunga) di allineamento a 65 anni per la vecchiaia delle lavoratrici del settore privato. Sull’anzianità è passato il veto di Bossi. Non vi è stata neppure la possibilità di anticipare al 2012, per i dipendenti, quota 97 (con età minima di 61 anni), ripercorrendo così a ritroso lo «scalone» introdotto dal ministro Maroni nel 2003 e corretto, con un importante dispendio di preziose risorse, dal Governo Prodi.

 

Damiano. Come Pd abbiamo una proposta alternativa. Ricordo che, da ministro del lavoro, ho contribuito a elevare l’età pensionistica per l’anzianità, tant’è che nel 2013 andrà a regime «quota 97». Detto questo, penso che nel momento in cui entrerà sempre più in vigore il «sistema contributivo», per le nuove generazioni sarebbe opportuno non più vincolare il momento di andare in pensione a una norma rigida, ma di consentire ai lavoratori una scelta libera, avendo ovviamente alle spalle un minimo di contributi, per esempio di 35 anni. Una scelta libera che potrebbe essere collegata in un range compreso fra i 62 e i 70 anni di età, con incentivi a coloro che superano i 65 anni. Sarebbe una scelta che la persona potrebbe fare in base alle condizioni personali e familiari: quanti lavorano in famiglia; ho sistemato il figlio; ho un mutuo da pagare; voglio rimanere a casa o continuare a lavorare.

 

D. Nel giro di due anni, il Governo ha rivoluzionato il settore previdenza introducendo, tra l’altro, i 65 anni d’età per la vecchiaia alle donne statali, la finestra mobile e la «speranza di vita»_

Cazzola. Insisto: nel settore previdenziale sarebbero ancora possibili misure «virtuose»: a) accelerazione dell’età di vecchiaia a 65 anni per le lavoratrici del settore privato. Si sarebbe potuto cominciare dal 2012 in ragione di un anno ogni due; b) abolizione della quiescenza di anzianità con 40 anni a prescindere dall’età. Per come è composto il mercato del lavoro, questa è rimasta la «via d’uscita» più breve per le generazioni dei baby boomers che, avendo iniziato a lavorare presto, possono andare in pensione sovente prima dei 60 anni. Sarebbe, inoltre, stato il caso di rendere più severe le regole per la pensione di anzianità portando, nel giro di qualche anno, la somma dei requisiti (età e contributi) a quota 100 rispetto a quota 97; c) liquidazione delle future pensioni di reversibilità in base a calcoli attuariali sull’età del beneficiario; d) applicazione, pro rata, ovvero dal 2012 in poi, del calcolo contributivo a tutti (incluso, dalla prossima legislatura, al vitalizio dei parlamentari); e) allineamento graduale dell’aliquota dei co.co.co. in via esclusiva iscritti alla Gestione separata Inps (ora al 26%) a quella dei dipendenti (33%). Infine, guardare alla prospettiva di un pensionamento unico, per tipologia e genere, e flessibile nel sistema contributivo.

 

Damiano. Questo Governo ha massacrato la previdenza, al di fuori di questa e dell’altra manovra. Per l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego a 65 anni, ha utilizzato ad arte una norma europea che non necessariamente doveva portare a un provvedimento di quella natura. Poi questo è il Governo che obbliga chi matura 40 anni di contributi a rimanere per un altro anno al lavoro o, peggio, in carenza di lavoro o terminato il periodo di mobilità (non raro di questi tempi di crisi), a rimanere senza pensione e senza stipendio per un anno. Penso che già tutto questo abbia costituito una sorta di «saccheggio» al sistema pensionistico e che solo poco tempo prima il ministro Sacconi e il presidente dell’Inps dichiaravano essere un sistema equilibrato e virtuoso di riferimento per l’Europa. Ricordo, inoltre, che il ministro Sacconi aveva spergiurato, dicendo «non alzeremo l’età pensionistica delle donne del privato a 65 anni», cosa poi che è invece avvenuta nella manovra scorsa. Penso che le mani nelle tasche degli italiani siano state messe, e soprattutto che sia stato inferto un colpo mortale allo stato sociale. Il mio giudizio è fortemente negativo.

 

D. L’ultima proposte arrivata dalla maggioranza vorrebbe dirottare il tfr dai fondi pensione in busta-paga_

Cazzola. Avvalendomi del linguaggio colorito e spiccio di Umberto Bossi la sua ultima trovata meriterebbe il medesimo commento del rag. Fantozzi al film La corazzata Potemkin. Il tfr, per lavoratori e aziende, è una risorsa troppo importante per consentire che quelle poche decine di euro – che finirebbero in busta paga, dopo la falcidia della progressività delle aliquote fiscali – vengano bruciate sul falò dei consumi. Tanti sono i ruoli che il tfr svolge. Oltre alla sua funzione iniziale – quella di sostenere i lavoratori e le loro famiglie durante un fase di disoccupazione – da tempo le liquidazioni sono state individuate come la principale fonte di finanziamento della previdenza complementare, fino al punto di metterlo a disposizione dei lavoratori affinché possano sceglierne il versamento in una forma di previdenza privata.

 

Damiano. Non mi convince questa proposta. È un palliativo che ha una contraddizione enorme, perché si bloccano i rinnovi dei contratti nel pubblico impiego, si piange sul fatto che le buste paga sono troppo magre e si pensa di supplire al dimagrimento voluto dal Governo con la distribuzione del tfr in busta paga. In questo modo si toglie una risorsa per la previdenza complementare. Non si possono fare troppe cose con lo stesso cespite: il tfr non può essere utilizzato per tutte le stagioni. La scelta di dirottarlo verso la pensione complementare va a vantaggio delle giovani generazioni e credo che debba essere mantenuta. Sarebbe persino necessario che il Governo lanciasse, come fece il Governo Prodi, una grande campagna di adesione alla previdenza complementare, ai fondi contrattuali soprattutto da parte delle giovani generazioni.