Tremonti illustra alle Camere i confini del provvedimento. Critiche le opposizioni ma anche Pdl e Lega non brindano. Bossi fa ancora muro sulle pensioni, intanto Napolitano sollecita tempi brevi e un clima di confronto 

di Antonio Satta

Il consiglio dei ministri potrebbe riunirsi già questa sera, a mercati chiusi, o al più tardi domani, per approvare il decreto legge che deve riscrivere la manovra di correzione dei conti pubblici approvata poco più di due settimane fa. L’idea del governo, infatti, è quella di approfittare dei tre giorni di chiusura dei mercati che regala il lungo weekend di Ferragosto.

Un modo per evitare che le inevitabili polemiche che scatenerà l’approvazione del provvedimento acuiscano ancora di più il nervosismo che circonda Piazza Affari. La medicina che dovranno ingoiare gli italiani sarà amara, e lo si è capito da come non solo l’opposizione, ma lo stesso Umberto Bossi e diversi ambienti del Pdl hanno accolto l’intervento di Giulio Tremonti di fronte alle commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio di Camera e Senato. I parlamentari, per l’occasione affiancati dai leader di tutti i partiti, avrebbero voluto conoscere nel dettaglio il provvedimento in gestazione.

Impossibile essere più chiari, ha spiegato il ministro, e non solo perché i mercati erano ancora aperti, ma perché un testo del genere va mostrato prima al capo dello Stato (l’incontro al Quirinale si è tenuto poi in serata). Quel poco che Tremonti ha fatto trapelare, però, è bastato per innervosire maggioranza e opposizione. E chi non si era arrabbiato dopo la prima illustrazione, ha perso le staffe dopo la replica, come il presidente della Camera Gianfranco Fini, dichiaratosi «allibito» per le parole del ministro, o Pier Ferdinando Casini, che si è fatto scappare a microfoni spenti: «Questo è scemo da ricoverare…». Una frase che la dice lunga.

Alle opposizioni, oltre ai contenuti più o meno fatti balenare, non è piaciuta l’insistenza con la quale Tremonti ha negato di aver chiesto aiuto alle minoranze parlamentari. «Farò finta di non aver sentito», ha commentato Pierluigi Bersani, mentre dal Terzo polo le repliche sono state ancora più pepate, visto l’atteggiamento di attenzione dimostrato fin qui. E se si allarga il fossato con le opposizioni risulta ancora più preoccupante la distanza, per non dire la frattura, che si sta delineando nella maggioranza. Silvio Berlusconi ha fatto muro contro la vera e propria patrimoniale ideata dai tecnici del ministero, una misura articolata che al di là della terminologia avrebbe comportato una stretta fiscale su seconde case e redditi più alti. Alla fine, però il premier ha dovuto ingoiare un contributo straordinario del 5% sui redditi oltre 90 mila euro, e del 10% per quelli oltre i 150 mila euro. Misura che resterà in vigore per due anni (vedi box nella pagina a fianco).

Bossi, a sua volta, aveva giurato che nessuno avrebbe messo le mani sulle pensioni padane, e ora, se non riuscirà a far cambiare idea a Tremonti, rischia di doversi sorbire una norma che non solo in pochi anni dovrebbe far sparire le pensioni di anzianità, ma dovrebbe portare a 65 anni anche l’età pensionabile per le lavoratrici del settore privato. Il Senatur in serata si è recato a Palazzo Grazioli a un vertice con Berlusconi facendo il viso dell’arme. Tremonti, ha detto, «non mi ha convinto». E poi, ancora, «bisogna saper dire anche di no, perché sennò si rischia una crisi».

 

In realtà è un po’ tutto l’insieme delle misure presentate da Tremonti (sunteggiate nei box riportati in questa e nella pagina seguente) a creare parecchi problemi alla maggioranza (quattro parlamentari del Pdl, tra i quali il sottosegretario Guido Crosetto, hanno dichiarato che a questo punto il loro voto non è scontato). Ma è difficile che, sotto la tensione dei mercati, la maggioranza possa rischiare la crisi. L’appoggio condizionato della Bce pesa, e infatti quando Bossi ieri ha ipotizzato che la famosa lettera di Jean Claude Trichet e Mario Draghi al governo, potesse essere in realtà un modo per portare alla crisi e a un governo tecnico, si sono scomodati i capigruppo del Pdl e il presidente del Senato, Renato Schifani, a difendere il governatore della Banca d’Italia. Draghi, poi ha incontrato Berlusconi e Tremonti, prima che i due salissero al Quirinale. E proprio il ruolo del presidente della Repubblica è diventato ancora più cruciale. Berlusconi sa bene, infatti, che il blocco sociale che lo ha sempre sostenuto non gradirà l’insieme delle misure adottate per arrivare al pareggio di bilancio entro il 2013. Per questo motivo vorrebbe che il Quirinale esercitasse la sua moral suasion sulle opposizioni perché condividano, se non il merito della manovra, almeno l’esigenza di non esasperare i toni durante un passaggio così delicato. Lo sciopero generale evocato due giorni fa dal leader della Cgil, Susanna Camusso, preoccupa parecchio il Cavaliere. E Napolitano, che ha interrotto appositamente le ferie, ieri ha visto un po’ tutti i protagonisti, auspicando, secondo quanto ha riferito Schifani «un confronto aperto tra tutte le forze politiche e sociali». Passaggio che qualcuno ha voluto mettere in relazione a quanto detto da Tremonti in mattinata, quando ha ricordato che il decreto che varerà il governo non sarà blindato, ma aperto al confronto in parlamento (ovviamente a patto che i saldi restino invariati). Proprio per questa sembra che anche il Quirinale non abbia gradito quell’altro passaggio, giudicato dall’opposizione come una dichiarazione di autosufficienza. (riproduzione riservata)