In un contesto in cui gli attacchi cyber (cui non è esente neanche il colosso Microsoft) sono in crescita nel mondo e anche nel nostro Paese (+23% nel 2024 rispetto al 2023, secondo il rapporto Clusit), diventa sempre più evidente per le aziende quanto essi possano essere fonte di potenziali danni alla reputazione. Secondo la Reputational Risk Readiness Survey 2025, realizzata da WTW intervistando 500 risk manager presso multinazionali di 20 Paesi, tra cui l’Italia, appartenenti a settori diversi (retail, manifattura, intrattenimento, trasporti e ONG), gli attacchi cyber emergono come la principale minaccia per il 65% delle aziende intervistate a livello globale, in aumento rispetto al 52% del 2023.
Seguono a ruota i rischi legati al clima (64%, in aumento rispetto al 52% del 2023). Anche questioni di governance (56%) e riguardo alla sfera sociale (47%), entrambi in aumento rispetto al 2023 (quando erano rispettivamente al 52% e al 45%).
Tutti questi aspetti portano quasi il 99% delle aziende a classificare la reputazione tra i 10 principali rischi per la propria attività, in leggero aumento rispetto all’ultima survey (97%).
“Il reputation management sta cambiando. Le aziende più mature e meglio preparate a gestire eventuali situazioni di crisi sono quelle in grado di comprendere e prevedere quando una criticità rischi di evolvere in un danno reputazionale”, afferma Paolo Molteni, Chief Chief Commercial Officer, Corporate, Risk & Broking, di WTW. “Sono inoltre quelle che comprendono a fondo i potenziali impatti strategici e finanziari di questi incidenti, considerando anche il contesto delle tecnologie di oggi, in continua evoluzione”.
Lo studio ha rilevato nell’insieme una maggiore consapevolezza sui rischi cyber rispetto allo scorso anno, quando solo il 24% delle aziende li aveva indicati tra i 5 principali fattori di rischio alla reputazione. Se da un lato le organizzazioni si affrettano ad adottare le tecnologie emergenti e la trasformazione digitale, questi timori sono fondati: il 47% delle organizzazioni che hanno subito un attacco informatico ha segnalato maggiori difficoltà ad attrarre nuovi clienti e il 43% ha dichiarato di averne persi.
Il 57% delle organizzazioni accetterebbe comunque un certo grado di rischio se ritenesse di poterlo gestire. Oltre due terzi (69%) affermano di valutare tali situazioni caso per caso.
Il 64% ammette di essere “moderatamente in grado” di prevedere l’impatto finanziario di una crisi reputazionale, in calo rispetto al 74% del 2023 e all’87% del 2022. Solo l’11% ha affermato di prevedere ed essere “assolutamente in grado” a gestire e le implicazioni finanziarie di una crisi, inclusa la comprensione delle esposizioni ai rischi in termini di gravità e frequenza. Questo dato è indicativo di una tendenza più ampia: il rischio reputazionale si sta interconnettendo con altre aree di rischio emergenti, aumentando il potenziale di crisi finanziarie: i rischi reputazionali stanno diventando rischi economici.
Arginare l’ondata di pubblicità negativa sui media e sui social in circostanze così rapide richiede un elevato livello di pianificazione e coordinamento e le organizzazioni sembrano essere meglio preparate rispetto all’ultima indagine. Più di 8 su 10 (87%) affermano di avere un team strutturato per rispondere agli eventi di pubblicità negativa. Il 34% che afferma che questo è collegato ai KPI, in aumento rispetto al 19% del 2023. L’82% delle aziende afferma inoltre infatti di disporre di modelli PR già pronti per la maggior parte degli scenari di crisi reputazionale. Ciò indica che le funzioni aziendali “core”, come quella finanziaria, coinvolgano sempre di più la comunicazione esterna.
“Le stesse incertezze riguardano il modo in cui le organizzazioni utilizzano i social media”, aggiunge Piergiorgio Vella, Director Risk & Analytics – Luxury di WTW. “È marcato il calo delle Corporate – dall’87% del 2023, al 77% di oggi – che attribuiscono un ruolo rilevante ai Social nella gestione di crisi reputazionali. Ancor più evidente è il dato dell’interazione dei C-Suite con i social per comunicare a Stakeholders e Clienti, in forte contrazione da 9 interazioni annue medie nel 2022 a sole 4 nel 2024. Una possibile chiave di lettura è che, da una parte, è forte la preoccupazione per gruppi organizzati che utilizzano piattaforme social per prendere di mira marchi e danneggiare la reputazione di un brand, dall’altra resta la necessità di comunicare con le nuove generazioni attraverso linguaggi e piattaforme da loro utilizzate”.
“I risultati della survey mostrano infine carenze nella modellizzazione finanziaria degli impatti reputazionali in molti Gruppi. Un aspetto forse legato ad una visione, direi ormai superata, della reputazione quale valore intangibile, di difficile quantificazione. In questo contesto WTW dispone di modelli attuariali in grado di sviluppare analisi finanziarie anche su rischi atipici, secondo i più rigidi requisiti dei regolatori del settore assicurativo”, conclude Vella.