Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

 

Le polizze vita tradizionali hanno protetto gli italiani nei momenti più difficili dei mercati. Già alla fine dello scorso anno però, con la ripresa improvvisa dei tassi d’interesse, l’incantesimo si è rotto e gli assicurati hanno iniziato a chiedere riscatti anticipati in cerca di rendimenti più attraenti. La conseguenza per il settore è però sotto gli occhi di tutti: nei primi quattro mesi del 2023 la raccolta netta negativa è stata di 7 miliardi. Come frenare i deflussi? Il presidente di Ivass, Luigi Federico Signorini, ha annunciato che sarà avviata una seconda consultazione sulla possibile riforma delle polizze vita. Bisogna aumentare la componente assicurativa e incentivare i clienti a rimanere investiti più lungo, spiegando bene che le polizze vita sono diverse da un fondo comune o ad un altro investimenti. La presidente di Ania, Maria Bianca Farina ha ipotizzato misure ad hoc «per limitare l’effetto sugli assicurati di perdite realizzate cedendo titoli minusvalenti (in perdita, ndr) a fronte dei riscatti», sfruttando magari l’occasione per estendere alla polizze tradizionali la qualifica di Pir, i piani individuali di risparmio. E durante un evento organizzato da Itinerari Previdenziali è emerso che le compagnie starebbero pensando di fare ricorso a una sorta di pronti contro termine. In pratica i titoli con le minus verrebbero venduti a pronti, ottenendo liquidità per pagare i riscatti, per ricomprarli poi a termine.
Nell’ultima Relazione annuale la Covip analizza la diffusione del life cycle nel sistema previdenziale complementare italiano. La Commissione di Vigilanza sui fondi pensione presieduta da Francesca Balzani pone particolare attenzione a tale meccanismo in base al quale l’asset allocation della linea scelta dal sottoscrittore è tipicamente caratterizzata da un’esposizione in titoli azionari che inizialmente è più elevata riducendosi, progressivamente e automaticamente, nel tempo con l’avvicinarsi del momento del pensionamento. Questa modalità è tra l’altro valorizzata come strumento di mitigazione del rischio dal legislatore comunitario nell’ambito del Regolamento (Ue)2019/1238 sui prodotti pensionistici paneuropei (Pepp) ed è menzionata come valida opzione di default nella Raccomandazione Ocse per il «buon disegno» dei piani pensionistici a contribuzione definita.
I fondi pensione arrivano al giro di boa del primo semestre battendo il trattamento di fine rapporto (tfr), anche se la strada per il recupero delle perdite del 2022 è ancora lunga. La frenata dell’inflazione e il rally delle azioni hanno sostenuto i rendimenti dei comparti previdenziali dopo il rosso dello scorso anno quando, complice la crisi dei mercati, i fondi pensione negoziali avevano chiuso i 12 mesi con un risultato negativo del -9,8% (al netto dei costi e della tassazione) e i fondi pensione aperti con un -10,7%. In entrambi i casi, poi, i risultati erano stati inferiori alla rivalutazione del tfr (ovvero la classica asticella con la quale si confrontano le performance dei fondi pensione). Questa, grazie alla fiammata dei prezzi al consumo, lo scorso anno aveva segnato un rialzo dell’8,3% netto: infatti la liquidazione in azienda si apprezza con un coefficiente che è dato dalla somma tra il 75% dell’indice di inflazione Istat più un tasso annuo fisso dell’1,5%. A giocare a favore del tfr c’è anche la tassazione più leggera sulla rivalutazione: il 17% al posto del 20% sui rendimenti dei fondi pensione. Ma negli ultimi mesi l’inflazione, pur restando alta, si è ridimensionata e di conseguenza nel semestre, sulla base dei dati preliminari, la rivalutazione del tfr ha fatto solo il +0,8% netto. Nel frattempo, il rimbalzo dei mercati, ha permesso ai fondi pensione di mettere a segno performance che per i negoziali arrivano a quasi il 7% e per gli aperti al 18%.
La ricchezza di una nazione si misura anche dalla capacità di attirare capitali dall’estero che siano in grado di sostenerne la crescita con investimenti di lungo periodo, a fianco di quelli domestici. E l’Italia in questo senso è da sempre sorvegliata speciale per l’ampia presenza di pmi che sono il vero asse portante del Paese. Spesso si tratta di aziende che fatturano anche all’estero e quindi hanno una buona base di diversificazione globale. Ma l’assenza di un mercato di capitali ben sviluppato come altrove, Regno Unito e Usa in primis, rischia di fare perdere occasioni importanti all’Italia e di esporla alle mire di investitori speculativi che puntano a comprare pezzi del Paese con il rischio di una logica di sviluppo che non porta benefici all’economia. Una borsa, come Piazza Affari, dove le ipo non sono così numerose come dovrebbero, su cui pesano nel frattempo i delisting o la fuga di aziende all’estero, vive quindi una fase di passaggio molto delicata.
Il viceministro all’Economia stacca un attimo e accetta di fare il punto con Milano Finanza. La notizia è questa: i primi provvedimenti attuativi arriveranno a gennaio del 2024 e riguarderanno i procedimenti di contenzioso e le composizioni degli accertamenti, poi toccherà all’armonizzazione delle rendite finanziarie, alle nuove aliquote fiscali per famiglie e imprese e alla riduzione delle tax expenditures.
L’alternativa è chiara. Se imprese italiane si insediano in Olanda e non (o non soprattutto) per ragioni fiscali bensì per i vantaggi dell’ordinamento societario olandese, delle due l’una: o per iniziativa degli organi dell’Unione Europea cessa il vantaggio competitivo dell’Olanda – cosa spesso richiesta ma lontanissima dall’essere accolta – oppure l’Italia si deve porre in condizione di non essere sfavorita nella competizione normativa adeguando il proprio ordinamento societario e finanziario. Subordinare l’innovazione all’introduzione nello statuto è suscettibile di creare qualche problema; sarebbe preferibile l’opting out, ammettere cioè ope legis la possibilità dell’adozione e disporre che solo una formale esclusione, assembleare o al limite statutaria, possa valere per non consentire la maggiorazione prevista. Ma occorrerà essere precisi sui requisiti perché scatti l’ammissibilità del voto plurimo. Si deve corrispondere adeguatamente agli interessi dell’impresa, al bonum societatis e all’aumento della partecipazione alla borsa. E la revisione non deve costituire un freno per nuove partecipazioni oppure per una decisa sottovalutazione delle minoranze.
Era attesa, è arrivata ma non ha risolto granché. È la definizione di greenwashing contenuta nel Progress Report congiunto di Esma, Eiopa, Eba del 31 maggio scorso (per il finale ci vorrà un altro anno): l’imbiancatura verde comprende affermazioni, dichiarazioni, azioni o comunicazioni che non rispecchiano chiaramente e correttamente il profilo di sostenibilità sottostante un ente, un prodotto o un servizio finanziario. Nulla di nuovo: far greenwashing vuol dire spacciare per verde ciò che verde non è. Definizione a parte, l’analisi delle autorità di vigilanza dei mercati finanziari, bancari e assicurativi europei enumera i versanti di rischio che coinvolgono l’intera filiera: dagli emittenti, seducibili dalla lusinga del cherry picking (comunicare solo i pro trascurando i contro), ai gestori di fondi e ai benchmark, disarmati in fase di verifica o confronto fra detto e fatto degli emittenti, ai consulenti finanziari, chiamati a valutazioni personalizzate implicanti alfabetizzazione verde loro e della loro clientela.
Generali Insurance Asset Management (Giam) è tra i maggiori gestori in Europa di mandati istituzionali per assicurazioni e fondi pensione, segmento nel quale il gruppo Generali si è recentemente rafforzato (negli Usa e in Asia) con l’acquisizione di Conning. La società, parte di Generali Investments, è specializzata in investimenti a lungo termine Ldi (Liability driven investment) e gestisce asset per circa 380 miliardi di euro. Antonio Cavarero, chief investment office di Giam, spiega come sta costruendo l’asset allocation considerando le attese della casa su inflazione e andamento economico.
La direttiva Mifid II impone agli intermediari distributori di evidenziare alla clientela, sia ex ante (immediatamente prima di ogni singolo investimento) sia ex post (una volta all’anno, entro aprile), i costi degli investimenti e l’impatto dei costi sul rendimento dei prodotti. L’obiettivo è innanzitutto far comprendere chiaramente al cliente quanto costi il prodotto e quanto la distribuzione, usando una tabella identica per tutti; per fare un esempio, se un cliente investe 100 euro in un fondo comune di investimento, leggendo la tabella dovrebbe essere in grado di capire quanto di quei 100 euro paga per la gestione del fondo e quanto, anche indirettamente, alla banca distributrice: le voci, infatti, sono piuttosto semplici, sono aggregate per tipologia di costo e non richiedono competenze particolari da parte del lettore. Se curioso, l’investitore può domandare alla banca lo spaccato dei costi, ossia il peso delle singole voci che compongono l’importo indicato nella tabella.
La polizza di Reale Mutua è pensata per gli over 75 e si appoggia alla sola gestione separata Reale Uno

Nei venti anni di applicazione del decreto legislativo n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società e degli enti, le banche sono state condannate in quattordici giudizi penali sui venti complessivi che hanno portato a delle sentenze. I procedimenti hanno avuto ad oggetto, nella maggior parte dei casi, i reati di ostacolo alle autorità di vigilanza, di false comunicazioni sociali e di manipolazione del mercato. I dati emergono dal quaderno di ricerca giuridica di Banca d’Italia sul tema «Regole di settore, compliance e responsabilità da reato: l’applicazione del dlgs n. 231/01 alle società bancarie», pubblicato ieri sul sito dell’autorità di vigilanza.

corsera

Dopo il rimbalzo del primo trimestre, la crescita del Pil si è interrotta, soprattutto a causa della contrazione dell’attività manifatturiera. La previsione di crescita per quest’anno comunque resta invariata (1,3%). Mentre per il 2024 e il 2025 la Banca d’Italia (nella foto il governatore Ignazio Visco) rivede a ribasso le stime nel Bollettino economico trimestrale, prevedendo rispettivamente un +0,9% e +1%. Le nuove proiezioni indicano un’inflazione al consumo armonizzata al 6% nella media di quest’anno (8,7 nel 2022), con una netta frenata al 2,3% nel 2024 e al 2% nel 2025. Il quadro macroeconomico continua a essere caratterizzato da forte incertezza. I rischi sono legati all’evoluzione della guerra in Ucraina e alla possibilità di un irrigidimento delle condizioni di finanziamento maggiore di quanto atteso.

È vicina al riassetto la partnership assicurativa, nel ramo Danni e Vita, da parte di Iccrea Banca. Secondo indiscrezioni, negli ultimi giorni sarebbero arrivate le offerte da parte dei player interessati e, sul tavolo dei consulenti finanziari Kitra Advisory e Kpmg, ci sarebbero sei proposte vincolanti. Per quanto riguarda il ramo Danni ci sarebbe un testa a testa fra il gruppo Hdi Talanx e Assimoco, mentre terzo incomodo sarebbe la francese Groupama. Nel ramo vita la sfida sarebbe invece tra Athora e Cardif, mentre la proposta di Gamalife sarebbe la terza sul tavolo. Una decisione finale potrebbe essere presa nelle prossime settimane, in modo da concedere un’esclusiva.
La crescita economica dell’Italia, dopo il rimbalzo del primo trimestre del 2023, si è interrotta, e il Pil è rimasto pressoché invariato in primavera, scrive la Banca d’Italia nel bollettino economico. La crescita quest’anno comunque resta prevista per l’1,3% – la stessa stimata nelle previsioni nell’ambito dell’esercizio coordinato dell’Eurosistema – mentre nel 2024 e nel 2025 viene limata allo 0,9 e all’1% rispettivamente. Da ricordare che la stima dell’Istat è dell’1,2%, rilasciata a inizio giugno. A causare la frenata sono stati la contrazione della manifattura e i ritmi più contenuti dei consumi. L’inflazione in Italia dovrebbe vedere una brusca frenata solo nel 2024, restando alta quest’anno. «L’inflazione si porterebbe al 6% nella media di quest’anno, e scenderebbe al 2,3% nel 2024 e al 2,0% nel 2025». Alla base del ribasso, gli effetti diretti e indiretti del calo dei prezzi delle materie prime energetiche. L’inflazione di fondo, attesa al 4,5% nella media dell’anno in corso, raggiungerebbe il 2% alla fine del triennio di previsione.
La relazione del Garante privacy 2023 affronta anche il delicato tema dei trattamenti dei dati personali nell’ambito delle procedure di acquisizione e gestione delle segnalazioni di illeciti da parte dei dipendenti e di terzi. Si tratta di una questione sempre più attuale, anche alla luce del decreto legislativo 24/2023 (di attuazione della direttiva Ue 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio) la cui applicazione è obbligatoria da oggi per le aziende con più di 249 lavoratori e da dicembre per quelle con almeno 50 lavoratori subordinati (nonché, come in precedenza, per tutte le aziende che adottano un modello di gestione in base al decreto legislativo numero 231/2001).