L’intensità delle proteste nel 2022 e nel primo trimestre del 2023 è fortemente correlata all’aumento dei prezzi dell’energia, al rallentamento della crescita dei salari reali e alla percentuale di salari fissati dalla contrattazione collettiva. È quanto emerge dall’ultimo rapporto Political Risk Index pubblicato da WTW.

Il rapporto indica che nel 2023 le intense proteste per il costo della vita colpiranno soprattutto i mercati sviluppati e quelli emergenti più ricchi.

Dal report emerge che nel 2022, fino a tre milioni di giorni-persona sono stati dedicati alle proteste per il costo della vita in 122 Paesi e territori.

Le proteste relative alle politiche governative in materia di energia sono tra i principali fattori che determinano le agitazioni per il costo della vita a livello globale.

Le proteste nelle nazioni più ricche suggeriscono che la tendenza all’aumento dei danni alla proprietà e delle interruzioni dell’attività economica causate da disordini sociali è destinata a continuare.

I Paesi in cui la contrattazione collettiva è diffusa, tra cui molti Paesi dell’Europa occidentale, rischiano di essere continuamente colpiti da proteste intense ed economicamente costose se l’inflazione rimane alta.

Guardando all’anno prossimo, il rapporto si conclude con una serie di indici di rischio che vedono Argentina, Francia, Spagna e Italia più vulnerabili alle proteste salariali e l’analisi suggerisce che nel 2023 le proteste salariali potrebbero diventare sempre più intense nel mondo emergente.

Il rapporto completo può essere scaricato qui.