di Carlo Giuro
In vista delle prossime elezioni politiche, le pensioni sono diventate uno dei temi di discussione della campagna elettorale, avendo già fatto irruzione nei programmi anticipati da alcune forze politiche. Il Governo che nascerà dalle urne del 25 settembre dovrà riassumere in tempi stretti la questione previdenziale considerando che alcune misure attualmente vigenti scadono a fine 2022 (Quota 102, Opzione donna, Ape sociale), cercando di contemperare diverse esigenze (flessibilità in uscita, adeguatezza delle prestazioni, turnover generazionale, salvaguardia del potere d’acquisto) e rispettando il vincolo di bilancio alla luce dell’elevato livello di debito pubblico e degli impatti prodotti sul sistema previdenziale italiano dalla fiammata inflazionistica e dai trend demografici. Il governo Draghi aveva impostato un percorso di dialogo con un tavolo con i sindacati che era stato però sospeso per le emergenze della guerra in Ucraina.

Le linee guida della concertazione erano rappresentate dalla possibile introduzione di una pensione contributiva di garanzia per i giovani, dalla flessibilità in uscita e dal rilancio della previdenza complementare. Le soluzioni di pensionamento anticipato rappresentano, tra i tre punti chiave, il più urgente da affrontare in considerazione del venir meno, a fine 2022, di alcune misure introdotte negli anni con l’obiettivo di reinserire nel sistema, anche se per un periodo di tempo limitato e solo per specifiche coorti di individui, margini di flessibilità nelle scelte di pensionamento dopo la riforma del 2011 (cosiddetta legge Fornero), varata in risposta all’esigenza di assicurare la sostenibilità di medio-lungo periodo dei conti pubblici, che ha spostato in avanti l’età della pensione, oggi arrivata a 67 anni per effetto degli adeguamenti alla speranza di vita. Nella visione esposta da Mario Draghi nel tavolo previdenziale con i sindacati, e ribadito anche nelle ultime comunicazioni al Senato prima delle dimissioni, la riforma delle pensioni avrebbe dovuto garantire meccanismi di flessibilità in uscita e un impianto sostenibile, ancorato al sistema di contributivo. Senza interventi dal 2023 l’asticella della pensione tornerà a 67 anni, senza le eccezioni previste da Quota 100 (38 anni di contributi e 62 di età) fino al 2021 e Quota 102 (38+64) che vige soltanto per quest’anno.

Prima delle campagna elettorale, come evidenzia anche un approfondimento sull’esperienza di Quota 100 e Quota 102 dell’Ufficio parlamentare di Bilancio e dell’Inps, le ipotesi al centro del dibattito avevano l’obiettivo di consentire un anticipo rispetto ai requisiti ordinari previa introduzione di modifiche al sistema di calcolo del trattamento pensionistico in maniera tale che la flessibilità avrebbe avuto così un costo anche individuale. Una delle ipotesi circolate consiste nell’estensione anche ai lavoratori del sistema misto del canale previsto nel sistema contributivo con requisito anagrafico di almeno 64 anni di età, anzianità contributiva di almeno 20 anni, importo della pensione non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale.Un’altra strada di cui si è discusso, sottolinea sempre l’analisi dell’Ufficio parlamentare di Bilancio e dell’istituto previdenziale presieduto da Pasquale Tridico, prevede che il pensionamento diventi possibile a partire da requisiti di età e anzianità inferiori a quelli ordinari ma con l’applicazione di una penalizzazione sulla quota retributiva della pensione in ragione di una percentuale fissata per ogni anno di anticipo rispetto al requisito della vecchiaia. Oltre a queste due formule, sono stati fatti anche ragionamenti, prosegue lo studio, sull’anticipo dell’uscita dal lavoro all’età di 64 anni con assegno calcolato sulla base della sola quota contributiva fino al raggiungimento del requisito per la pensione di vecchiaia cui, poi, si aggiungerebbe la quota retributiva. Queste proposte non sono confrontabili con Quota 100 visto che, a differenza di quest’ultima, prevedono penalizzazioni specifiche sugli importi delle pensioni commisurate all’entità dell’anticipo rispetto al pensionamento con i requisiti Fornero, che vanno al di là di quelle derivanti dalle regole di calcolo. Altro capitolo è legato ad una eventuale ulteriore proroga di Opzione donna (misura sperimentale e progressivamente prorogata dal 2004) già ipotizzata dal Governo Draghi e in termini più ampi del pensionamento al femminile.

Un alto aspetto, sempre nel capitolo pensionamento anticipato, che andrà esaminato dal nuovo Governo, riguarda il futuro della norma introdotta nel 2019 per la quiescenza con il canale di anzianità contributiva, ovvero il blocco a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne dei requisiti contributivi e, per il 2019-2026, la non applicazione dell’adeguamento di tali requisiti alla variazione della speranza di vita (introducendo dal 2019 un posticipo di tre mesi della prima decorrenza utile dei trattamenti pensionistici). Andrà valutato se la sospensione possa essere confermata fino al 2026 o anticipata o, ancora, resa strutturale. (riproduzione riservata)
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