LA CASSAZIONE SULLA RESPONSABILITÀ DA REATO: L’INTERESSE DELL’AMMINISTRATORE NON LIBERA

Se vi è l’interesse o il vantaggio, anche solo concorrente, della società, scatta la condanna 231: è quanto stabilito dalla sentenza della Cassazione penale n. 23300 del 15 giugno 2021 in un caso di truffa ai danni dello Stato finalizzata ad ottenere un cospicuo finanziamento in conto capitale in assenza dei presupposti. Secondo la Suprema Corte, il reato va considerato commesso proprio nell’interesse della persona giuridica che ottiene i capitali e li utilizza per la propria attività. Solo laddove si provi l’esclusivo interesse degli amministratori, senza che l’ente ne tragga alcun vantaggio, come nel caso in cui i proventi illeciti confluiscano sui conti correnti personali degli stessi, la società potrebbe salvarsi.

Il caso. Nel caso di specie, la Corte di appello di Bari aveva confermato la pronuncia del Tribunale che aveva dichiarato una Srl responsabile dell’illecito amministrativo di cui al dlgs n. 231 del 2001, artt. 5 e 24, avendo detta società beneficiato dell’indebito profitto derivante dal delitto di truffa commesso dagli amministratori in danno dello Stato e per i quali era stata dichiarata la prescrizione. Aveva proposto pertanto ricorso per Cassazione la Srl, in persona del difensore e procuratore speciale, deducendo violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in ordine alla responsabilità dell’ente non sussistente in caso di fatto-reato commesso nell’interesse esclusivo degli imputati del reato presupposto; al proposito, si deduceva che l’impugnata sentenza non aveva fornito alcuna prova dell’interesse dell’ente alla realizzazione dei delitti.

Le nozioni di interesse o vantaggio «231». Prima di soffermarsi sull’impianto motivazionale, e premettendo sin d’ora che la Cassazione ha ritenuto di respingere il ricorso, pare opportuno inquadrare la questione giuridica sottesa.

Specificamente, l’art. 5 dlgs 231/2001 richiede, affinché possa sussistere la responsabilità dell’ente, che il reato sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio. Tuttavia, l’individuazione (e delimitazione) delle suddette nozioni di interesse e vantaggio ha rappresentato un tema tanto rilevante quanto complesso nella prassi applicativa del dlgs 231/2001.

Nel tempo, la giurisprudenza di legittimità, anche riunita nel suo massimo consesso (cfr. Cass. pen., n. 38343 del 24/4/2014, relativa al noto caso Thyssenkrupp), ha chiarito che l’interesse o il vantaggio dell’ente sono criteri alternativi tra di loro e costituiscono concetti giuridicamente distinti (tra le successive sentenze, cfr. inoltre Cass. pen., n. 12149 del 31/3/2021 e n. 43656 del 28/10/2019).

In particolare, il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, al momento della commissione del fatto, e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo; mentre il criterio del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito.

Può ipotizzarsi, infatti, un interesse astrattamente prefigurato cui non consegue in concreto un vantaggio obiettivamente conseguito mediante la realizzazione del reato.

I due concetti non rappresentano quindi un’endiadi, come pure sostenuto da una certa dottrina (secondo cui il criterio di imputazione sarebbe costituito dall’interesse, mentre il vantaggio potrebbe al più rivestire un ruolo strumentale, probatorio, volto alla dimostrazione dell’esistenza dell’interesse); del resto, la stessa congiunzione disgiuntiva «o» presente nel testo della disposizione conferma il rapporto di alternatività.

L’interesse esclusivo o concorrente. L’ultimo comma dell’art. 5 precisa ulteriormente che nessuna responsabilità potrà essere attribuita alla persona giuridica nel caso in cui i soggetti sopra indicati abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, e non quindi nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

La responsabilità in capo alla persona giuridica sarà viceversa attenuata, pur permanendo (non è infatti necessario che l’interesse e il vantaggio per l’ente siano esclusivi), nel caso in cui l’autore del reato abbia commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne abbia ricavato alcun vantaggio o gliene sia derivato un vantaggio minimo (art. 12, comma 1, lett. a)), essendo prevista, in questo caso, la riduzione della sanzione pecuniaria della metà (ma, comunque, in misura non inferiore a 10.329 euro).

L’interesse nel reato di truffa ai danni dello Stato. Venendo alla sentenza in esame, la Cassazione ha evidenziato come i giudici di merito avessero adeguatamente spiegato per quali ragioni si dovesse ritenere il diretto interesse dell’ente alla realizzazione della truffa; difatti, era emerso che proprio utilizzando il profitto illecito della truffa, che transitava sui conti correnti della Srl, era stato costruito l’impianto industriale in cui aveva operato la società, e che la stessa avesse potuto divenire operativa esclusivamente grazie all’ottenimento di quel finanziamento frutto di artifizi.

Ciò chiarito, la Suprema Corte ha ricordato altresì come l’art. 5 del dlgs n. 231 del 2001 richieda che il fatto, in grado di consentire il trasferimento di responsabilità dalla persona fisica all’ente, sia commesso nell’interesse o a vantaggio dello stesso. Precisando al comma 2 della medesima disposizione che la responsabilità cessa ove il fatto sia commesso nell’esclusivo interesse proprio o di terzi e cioè per un fine che non avvantaggia in alcun modo l’ente stesso. L’assenza dell’interesse rappresenta, dunque, un limite negativo della fattispecie.

A tal proposito la Corte di cassazione ha già affermato in passato, in una pronuncia richiamata anche nel caso in esame, che in tema di responsabilità degli enti per il delitto di false comunicazioni sociali, qualora l’appostazione nel bilancio di una società di dati infedeli è finalizzata a far conseguire alla medesima illeciti risparmi fiscali il reato deve ritenersi commesso nell’interesse della persona giuridica (Cass. pen., n. 40380 del 26/04/2012).

Analogamente, in questa occasione gli Ermellini hanno ritenuto che in caso di truffa ai danni dello Stato finalizzata ad ottenere un cospicuo finanziamento in conto capitale in assenza dei presupposti, il reato risulta commesso proprio nell’interesse della persona giuridica che detti capitali ottiene ed utilizza per la propria attività mentre diversamente sarebbe ove fosse stato dimostrato che il finanziamento illecito era stato immediatamente distratto a vantaggio esclusivo dei soci. Circostanza questa che neppure il ricorso aveva dedotto e comunque mai provata ed emersa.

La decisione della Cassazione. Né ad avviso della Cassazione è risultata decisiva la circostanza del concorrente interesse personale dei soci; difatti si è già affermato come sussiste la responsabilità da reato dell’ente qualora la persona giuridica abbia avuto un interesse anche solo concorrente con quello dell’agente alla commissione del reato presupposto (Cass. pen., n. 24559 del 22/05/2013); principio, questo, ribadito anche in altre pronunce, secondo cui alla persona giuridica sarà imputabile l’illecito anche quando l’agente, perseguendo il proprio autonomo interesse, finisca per realizzare obiettivamente quello dell’ente (Cass. pen., n. 10265 del 28/11/2013). Di conseguenza, non è stato ritenuto decisivo il rilievo dell’interesse realizzato anche dai soci della Srl, essendo stato verificato dai giudici di merito che il finanziamento illecito era stato comunque ricevuto dalla società ed utilizzato per la realizzazione delle proprie ulteriori strutture e attività. Da qui, l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente alle spese processuali.

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