A TRIESTE SALE LA TENSIONE DOPO GLI ULTIMI ACQUISTI DI CALTAGIRONE IN MEDIOBANCA
di Luca Gualtieri
Che i recenti acquisti di Francesco Gaetano Caltagirone in Mediobanca (fino al 5,055% di cui il 3,003% in titoli e il resto in opzioni) non puntino a destabilizzare la merchant bank guidata da Alberto Nagel è un messaggio che il gruppo romano ha fatto passare con chiarezza. Non solo perché la decisione di investire sarebbe maturata nell’ambito di un rinnovato interesse di Caltagirone per il settore bancario, ma anche perché, almeno per ora, l’azionista non ha nulla da rimproverare all’istituto. Tanto più che gli acquisti non saranno accompagnati da richieste specifiche sul fronte della corporate governance e nessuna iniziativa è allo studio in vista dell’assemblea di bilancio di ottobre. Il blitz è stato peraltro apprezzato dal mercato, come dimostra il rialzo del 3,29% messo a segno ieri in Piazza Affari dal titolo Mediobanca. È tuttavia difficile non leggere il blitz del costruttore romano come un segnale indirizzato alla prima linea di Piazzetta Cuccia, che nei prossimi mesi sarà impegnata nel delicato rinnovo del vertice di Generali. Se infatti il board della compagnia scadrà nella primavera del 2022, già a settembre si metterà in moto la macchina per individuare i nuovi amministratori, come previsto dal sistema di governance monistico approvato lo scorso anno. Se sul tema il consiglio di amministrazione potrebbe iniziare a confrontarsi già nella riunione del prossimo 5 agosto (quando verranno approvati i risultati semestrali), è evidente che la palla resta in mano agli azionisti. Tra questi gli scontenti sono diversi e il loro pressing potrebbe progressivamente salire tra luglio e settembre. Caltagirone, vicepresidente e secondo azionista (5,6%), spinge per un assetto più plurale della governance e ha ribadito il proprio dissenso disertando l’ultima assemblea di bilancio. Leonardo Del Vecchio invece (4,8%) oscilla tra critiche sulla strategia (Generali deve tornare «al ruolo leader che aveva nel mercato assicurativo alla fine degli anni ’90») a cauti messaggi diplomatici («fin quando ci saranno i risultati, il management non penso abbia nulla da temere»). Fatto sta che le frizioni in questi anni non sono mancate, dal confronto sul direttore generale alle critiche ad alcune operazioni straordinarie. Ma è soprattutto sulla prima linea che il confronto si è preannuncia più accesso. La richiesta di Caltagirone è quella di aprire un confronto alla pari con gli altri azionisti a partire da Mediobanca (12,9%) che sinora ha sempre gestito i rinnovi della compagnia. L’obiettivo? Un cambiamento che porti al vertice un manager di elevato standing esperto in tecnologia, taglio dei costi e m&a. Possibilmente in ticket con un nuovo presidente. Per parte sua Mediobanca ha sinora apprezzato i risultati portati dal ceo Philippe Donnet: la buona posizione di capitale, il migliore combined ratio tra i concorrenti, un total shareholder return del 95% dal novembre 2016 a oggi. A fronte di questi risultati, si argomenta, risulta assai difficile giustificare un ricambio del manager. Malgrado ciò Piazzetta Cuccia non è pregiudizialmente contraria a discutere altre soluzioni, purché non venga meno un punto fermo: il ceo di Generali deve essere un manager di respiro internazionale che sappia muoversi non solo sul mercato italiano ma anche in Europa e in Asia. Se settembre potrebbe essere il mese decisivo per l’esito della partita, al momento è difficile prevederne l’esito. A fronte di un mancato accordo tra gli azionisti, il cda potrebbe per esempio non presentare la lista e lasciare che i soci corrano da soli. In alternativa Caltagirone e Del Vecchio potrebbero disconoscere le scelte del board e presentare una formazione autonoma. Ma lo scenario meno traumatico per la compagnia sarebbe un accordo in seno al board. Al momento la strada è in salita, ma i pontieri potrebbero presto mettersi al lavoro.

Tornando a Mediobanca, il blitz di Caltagirone segue di poche settimane gli ultimi acquisti di Del Vecchio che ad agosto dovrebbe raggiungere il 19,99%. Già oggi comunque i due imprenditori detengono il 24% teorico dell’istituto, appena un soffio sotto la soglia d’opa. Questi turbinosi passaggi di azioni sono monitorati da vicino della Consob che nelle prossime settimane potrebbe raccogliere ulteriori elementi, anche attraverso audizioni. (riproduzione riservata)

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