Francesco Bertolino
Tra poco più di un decennio si prospetta un anno zero per l’auto. A cominciare dal 2035 in Europa si potranno vendere soltanto veicoli che non emettono anidride carbonica, cioè elettrici. Nel negoziato fra gli Stati membri il bando a diesel e benzina potrebbe essere posticipato di qualche anno e magari nella transizione potranno trovare più spazio le motorizzazioni ibride o i biocarburanti. La strada pare comunque ormai tracciata e alcuni costruttori l’hanno imboccata a tutta velocità. La rivoluzione verde offre infatti alla case l’occasione non solo di rovesciare equilibri consolidati nel mercato, ma forse anche di uscire da quello che AlixPartners ha definito il deserto dei profitti. Nei rispettivi eventi dedicati all’elettrificazione, così, Stellantis e Volkswagen hanno alzato le previsioni di redditività a medio termine. Il costruttore di Wolfsburg, peraltro, è stato il solo insieme a Volvo a lodare il piano di Bruxelles, aspramente criticato invece dalle associazioni imprenditoriali francesi, tedesche e italiane, che paventano rischi per l’occupazione, per la filiera e per la competitività dell’industria dell’auto europea.

La chiusura della fabbrica Gkn di Firenze e il licenziamento dei suoi 422 lavoratori sono un campanello d’allarme della crisi che potrebbe travolgere la componentistica se la transizione non sarà accompagnata dai governi. L’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica (Anfia) ha espresso non a caso sconcerto e preoccupazione per la proposta dell’Unione europea, accusandola di massimalismo nelle politiche ambientali e di trascurare gli «impatti industriali, economici e sociali di scelte così ambiziose e categoriche». Ai motori termici è legata circa metà dei 18,2 miliardi di export italiano di componenti di cui peraltro i veicoli a batteria avranno meno bisogno sia per la minor complessità dei propulsori elettrici sia per la tendenza dei costruttori a riportare in casa diverse produzioni in precedenza affidate all’esterno. La decisione di Stellantis di realizzare una gigafactory a Termoli potrebbe perciò non bastare a guidare una costosa riconversione della filiera italiana.

Le case auto, per la verità, sono parse meno turbate dalla svolta a gomito di Bruxelles sulle emissioni. L’accelerazione globale nella lotta al cambiamento climatico, del resto, potrebbe dare il là a un rinverdimento del parco circolante senza precedenti per entità e velocità. Per centrare gli obiettivi di riduzione della CO2 fissati dall’Ue, stimano gli analisti, nel 2030 il 55% delle immatricolazioni di auto in Europa dovrà essere elettrico. Simili quote saranno probabilmente richieste dai governi americano e cinese, anch’essi in predicato di approvare una stretta ambientale sulla mobilità. Lungi dal rappresentare solo un costo, secondo alcune stime, la trasformazione elettrica e digitale moltiplicherà per 2,5 il giro d’affari della mobilità nell’arco di un decennio, da 2.000 a 5.000 miliardi di euro. Le case all’avanguardia nella transizione elettrica avranno perciò l’opportunità d’incrementare in misura considerevole i volumi di vendita e magari di sfondare in Paesi sinora ostili. Volkswagen, per esempio, conta di quintuplicare nel giro di un decennio la quota di mercato negli Usa, salendo dal 2 al 10% a scapito delle tre sorelle di Detroit: General Motors, Ford e Chrysler (Stellantis). Il costruttore teutonico dovrà però guardarsi dall’assalto proprio di Stellantis alla Cina, ormai mercato domestico per Vw, che nel Paese asiatico vende più che in Europa. Per far breccia nella muraglia sino-tedesca il gruppo nato dalla fusione tra Fiat-Chrysler e Peugeot utilizzerà come ariete il marchio Opel, che a breve lancerà un’offensiva zero emissioni a Oriente.

Nella rivoluzione elettrica le posizioni nella classifica industriale dell’auto potrebbero così rimescolarsi, sulla falsariga di quanto avvenuto in borsa con l’ascesa repentina di Tesla. Come per i motori termici, la gara sarà decisa da prezzo e prestazioni al cui miglioramento i costruttori destineranno parte significativa dei 360 miliardi di euro d’investimenti programmati di qui al 2025. Sul primo fronte, Stellantis punta ad abbattere di oltre il 40% il costo delle batterie entro il 2024 e di un ulteriore 20% entro il 2030, mentre Volkswagen ne prevede il dimezzamento nel giro d’un decennio. Una volta economicamente competitivi, oltre che puliti i veicoli verdi potranno diventare anche di massa e scrollarsi di dosso il marchio di «antidemocratici» e «imposti dall’alto» fin qui comprovato dalla diretta proporzionalità fra reddito pro-capite e penetrazione dell’elettrico in un Paese. Servirà poi risolvere il problema della cosiddetta ansia da autonomia. A seconda delle piattaforme, ha sottolineato il ceo Tavares, i veicoli di Stellantis potranno percorrere fra 500 e 800 chilometri e le loro batterie avranno una capacità di ricarica di 32 chilometri al minuto. Serviranno cioè circa 20 minuti per un pieno di energia.

La capillarità delle stazioni di rifornimento sarà altrettanto cruciale nel favorire un’ampia adozione di veicoli elettrici. A livello globale, dice AlixPartners, serviranno entro il 2030 investimenti in infrastrutture di ricarica per 300 miliardi di dollari, 61 dei quali da dispiegare in Europa. Una parte di questi fondi verrà stanziata dai governi che, nei piani di Bruxelles, dovranno assicurare la presenza sulle autostrade e sulle arterie principali di una colonnina elettrica ogni 60 chilometri e di una colonnina a idrogeno ogni 150 chilometri, per un totale di 3,5 milioni di punti di ricarica. Troppo pochi secondo l’associazione dei costruttori europei (Acea), che stima un fabbisogno di 6 milioni nel 2030. Per colmare il divario alcune case hanno intenzione -da sole o in collaborazione con compagnie energetiche- di installare una rete proprietaria. In settimana, così, Volkswagen ha costituito una joint-venture con Enel X per realizzare, possedere e gestire oltre 3mila punti di ricarica ad alta potenza in Italia, utilizzabili da vetture di qualsiasi marca.

La trasformazione dell’auto apre l’opportunità di offrire prodotti innovativi e decisamente più redditizi rispetto alla mera vendita di veicoli. Tutti i costruttori, anche quelli a lungo scettici, hanno scorto nell’elettrico una via d’uscita dal deserto dei profitti. Dagli abbonamenti all’energia al riciclo delle batterie, dal supporto alla rete alla gestione di stazioni di ricarica, le possibilità di costruire un ecosistema intorno all’auto aumenteranno con l’affermazione dell’elettrico e ancor di più con l’avvento della guida autonoma. Secondo Volkswagen, la digitalizzazione della mobilità ne accrescerà il giro d’affari globale di 1.200 miliardi entro il 2030, abilitando l’offerta di servizi di condivisione, intrattenimento e manutenzione predittiva. Si spiega dunque perché software e tecnologia siano la seconda voce di investimento per le case che puntano a fare dell’auto uno smartphone a quattroruote, una piattaforma fisica per applicazioni virtuali molto più lucrative. (riproduzione riservata)

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