COOPCON GLI ULTIMI ACQUISTI GLI AZIONISTI STORICI STRINGONO IL LEGAME CON LA COMPAGNIA DI BOLOGNA. ECCO CHI SONO E QUANTO HANNO INVESTITO LA SCOMMESSA SUL TERZO POLO BANCARIO TRA SONDRIO, BANCO BPM E MPS

Gli acquisti che mercoledì 30 giugno le cooperative hanno avviato su Unipol cadono in un periodo delicato per l’evoluzione della compagnia. Completata con successo l’integrazione di Fonsai, aggiornata e ampliata la strategia industriale e ceduta Unipol Banca alla partecipata Bper, il ceo Carlo Cimbri ha scelto proprio l’anno della pandemia per entrare con decisione nel processo di consolidamento del sistema bancario. Affiancato dalla Mediobanca di Alberto Nagel (che a sua volta ha sostenuto nella partita Ieo-Monzino) e alleato con Intesa Sanpaolo, Cimbri ha giocato un ruolo-chiave nella conquista di Ubi Banca, operazione che ha aperto le danze del risiko. Non solo.; stretta la presa su Bper con l’arrivo al vertice di un banchiere di lungo corso come Piero Montani, Unipol ha messo subito nel mirino la Popolare di Sondrio, di cui, grazie ai buoni servigi di Equita, in pochi giorni ha raggiunto il 9%. Sulle prossime mosse circolano molte ipotesi, da un matrimonio con Banco Bpm a un blitz su Carige fino a un coinvolgimento nella privatizzazione di Mps, cui finora molti banchieri hanno chiuso la porta. Qualcuno nelle scorse settimane si è perfino spinto a immaginare un avvicinamento della compagnia a Unicredit, dove l’ad Andrea Orcel sta definendo la nuova strategia industriale. Una fantasia? Si vedrà.

Gli acquisti delle cooperative però accendono un riflettore anche sugli assetti proprietari di Unipol, un mondo apparentemente lontano dagli equilibri della city milanese ma in grado di esprimere numeri di rilievo. Basti pensare che, bilanci 2019 alla mano (gli ultimi disponibili), i principali azionisti di via Stalingrado esprimono un giro d’affari complessivo di 15 miliardi e disponibilità liquide per 2 miliardi a fronte di debiti verso banche per oltre 3 miliardi. Si tratta ovviamente di una compagine assai diversificata al proprio interno, dove non sono mancati i momenti di crisi e di ristrutturazione, anche se nel complesso il sistema ha finora mostrato una buona capacità di tenuta. Tanto più che, dopo un anno di astinenza dai dividendi per lo stop imposto dai regolatori, oggi alcuni di questi soci hanno scelto di mettere mano al portafoglio per arrotondare le partecipazioni in via Stalingrado. Sia chiaro: queste partecipazioni hanno un forte valore simbolico oltre che finanziario, come dimostra la storia del legame tra le coop e Unipol. Una storia partita dal Pci post-togliattiano e dalla forza propulsiva di figure come Oscar Gaeta che nel groviglio armonioso tra cooperazione e finanza videro l’essenza di una via italiana al socialismo. Difficile stabilire oggi cosa rimanga di quello spirito, specie dopo l’ingloriosa parabola di Giovanni Consorte che nel 2005 lanciò improvvidamente Unipol alla conquista del Bnl. Andò male.

Certamente però il legame tra la compagnia e i suoi azionisti rimane saldo. A fare da capofila è la bolognese Coop Alleanza 3.0, nata nel 2015 dalla fusione di Coop Estense, Coop Adriatica e Coop Consumatori Nord Est che ha dato vita alla maggiore cooperativa per consumatori d’Europa. Il gruppo (che è presieduto da Mario Cifiello e detiene il 22,2% di Unipol) è peraltro reduce da un’importante ristrutturazione del debito (a livello consolidato quello verso banche è sceso nel 2020 da 1,55 miliardi a 1,32 miliardi su oltre 4 miliardi di ricavi e 141,2 milioni di mol) che le ha consentito di tornare a investire sulla partecipazione. Radicata in Piemonte è invece Novacoop (presieduta da Ernesto Dalle Rive, con giro d’affari per 1,5 miliardi, debiti verso banche per 280 milioni e mol per 63 milioni nel 2019) che si tiene stretto il 6,3% di via Stalingrado, mentre Coop Liguria (784 milioni di valore della produzione, debiti verso banche per 299 milioni e mol per 50 milioni nel 219) ha in mano il 3,6%.

Gran parte degli azionisti storici di Unipol però investono nella compagnia attraverso veicoli finanziari. Uno di questi è Cooperare spa, nel cui capitale compaiono ancora una volta Coop Alleanza e Coop Liguria al fianco di Coop Lombardia, Manutencoop, Granlatte, Copura, Cmc e alcune banche come Bper, Banco Bpm e Crédit Agricole. Un altro e più noto veicolo è Holmo, che raccoglie una ventina di investitori tra cui Unicoop Firenze (2,5 miliardi di valore della produzione nel 2019), la romagnola Sacmi (1,26 miliardi) e, di nuovo, la holding del gruppo Granarolo (1,35 miliardi). Sebbene solo alcune di queste realtà abbiano deciso di investire ancora in Unipol attraverso il veicolo Koru (nello specifico Coop Alleanza, Cefla, Cooperare, Nova Coop, Aurum e Copura), il legame tra l’intera compagine azionaria e la partecipata si conferma forte. Al punto che quasi tutti i soci mantegono a bilancio la quota a un valore lontano da quello espresso dai corsi borsistici. Rispetto agli attuali 4,48 euro, Coop Alleanza ha in carico il proprio 22,2% a 7,82 euro che, guardando ai bilanci 2019, si confronta con i 6,2 euro di NovaCoop, con i 7,86 euro di Coop Liguria, con i 9,87 euro di Cooperare spa e con i 13,2 euro di Holmo (che, sempre nel bilancio 2019, valuta complessivamente il proprio 6,7% 633 milioni a fronte di un patrimonio netto di 378 milioni).

Interpretare il legame tra le cooperative e Unipol alla luce delle metriche dei mercati può tuttavia risultare riduttivo. Tanto più che con i recenti acquisti i soci storici hanno scelto di stringere ancor di più tale legame e scommettere sulle strategie della compagnia. Che sotto la guida di Cimbri Unipol sia destinata a diventare un crocevia della finanza italiana è oggi previsione molto diffusa. Quando in piena crisi del debito sovrano il ceo pilotò la compagnia verso il salvataggio di Fonsai l’impresa poteva sembrare ambiziosa fino all’azzardo. Non solo per le fibrillazioni dei mercati ma anche perché dal capezzale del gruppo di casa Ligresti erano scappati giocatori di peso come la francese Groupama. Qualcuno scrisse di un salto nel vuoto per via Stalingrado, che però alla fine completò la missione malgrado le bordate delle Procure e i colpi di coda dei Ligresti. L’integrazione di Fonsai non fu meno complessa, ma oggi nella city milanese pochi dubitano che 8 anni fa Cimbri abbia fatto un affare. Da allora il terreno di conquista è cambiato. Il banchiere Enrico Cuccia aveva una passione per le assicurazioni, ritenendo a ragione che le loro riserve fossero il misconosciuto tesoretto della finanza italiana. Cimbri vede le cose da una prospettiva opposta e, muovendo dalle polizze, ha spostato l’attenzione sul sistema bancario. Attraverso Bper (di cui detiene il 18,9%) via Stalingrado può farsi promotore di quel terzo polo creditizio di cui si discute da anni ma che nessun banchiere è ancora riuscito a costruire. Ubi Banca per esempio ha tentennato sino a finire preda dell’opa di Intesa. Nel polo, come detto, potrebbero entrare non solo Banco Bpm, la Popolare di Sondrio o Carige ma anche alcuni asset di Mps che il governo Draghi vuole quanto prima mettere sul mercato per chiudere una travagliata nazionalizzazione. Con molti incentivi pubblici sul tavolo e una ripresa economica incipiente, il progetto appare oggi alla portata e Cimbri, che molti osservatori considerano il manager più determinato per perseguirlo. Magari modificando nel frattempo la struttura societaria del gruppo, come ipotizzavano qualche giorno fa gli analisti ventilando una semplificazione della catena del controllo.

Sullo sfondo ci sono poi altre partite in cui Bologna potrebbe giocare. Il ritorno nel capitale di Mediobanca con una quota di poco inferiore al 2% è per esempio fonte di forse troppo facili suggestioni, specie alla luce dei profondi rivolgimenti che negli ultimi due anni hanno interessato gli assetti di controllo di Piazzetta Cuccia. Con gli ultimi acquisti Leonardo Del Vecchio si è portato al 19%, a un soffio dalla soglia del 20% che nel 2020 si era prefissato di raggiungere. Se per il momento questi vorticosi passaggi di azioni non hanno avuto effetti sulla governance della merchant bank, il livello di attenzione del mercato è alto e molti si interrogano su quale ruolo potrebbe giocare Unipol nella futura geografia della Galassia.

Con tante partite aperte, l’attivismo delle cooperative trova insomma una chiave di lettura più che convincente: i soci storici di Unipol non vogliono stare a guardare, ma sono anzi pronti a supportare i progetti di crescita della compagnia. Non sarà forse una via al socialismo, ma è una via che può condurre a nuovi equilibri nel potere economico-finanziario italiano. (riproduzione riservata)

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