L’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione, i compensi premiali e il meccanismo dell’opt-in anche post sentenza rappresentano i tre fattori incentivanti che, nella logica della nuova riforma entrata in vigore il 19 maggio, dovrebbero dare impulso alla class action in Italia, strumento che non ha mai riscosso il successo che in molti si aspettavano. Benché non vi sia un database ufficiale, si stima che solamente una causa su due venga dichiarata ammissibile e che solo una su sette sia giunta a una sentenza di risarcimento. Parallelamente, l’Unione Europea ha emanato la Direttiva (Ue) 2020/1828, entrata in vigore il 25 dicembre 2020 e che dovrà essere recepita dagli Stati Membri entro 24 mesi. A oggi è ancora incerto come la Direttiva Europea verrà recepita in Italia, se con un ritocco alla nuova disciplina nazionale o con un set normativo parallelo.

La riforma italiana prevede l’estensione della tutela contrattuale anche ai rapporti business to business, mentre la Direttiva Europea limita il proprio campo di applicazione ai rapporti tra consumatori e professionisti. Per i rapporti extracontrattuali, viene meno la limitazione per i soli casi di responsabilità del produttore e delle imprese autrici di pratiche commerciali scorrette e/o di comportamenti anticoncorrenziali. In Italia sarà pertanto possibile agire in ogni caso in cui un’impresa o un gestore di servizi pubblici o di pubblica utilità ponga in essere illeciti plurioffensivi che consentano di individuare una classe di soggetti danneggiati.

Altri fattori di incentivo sono i «compensi premiali» per l’assistenza legale, non previsti in sede europea, commisurati sul numero dei componenti la classe e sull’ammontare del risarcimento dovuto agli aderenti, e il meccanismo di adesione alla class action nella forma dell’opt-in, anche successivamente alla sentenza di accoglimento. In questo panorama di rilancio (italiano ed europeo) dell’azione di classe, un ruolo determinante sarà giocato dal third party litigation funding (Tple), a cui il Parlamento Europeo ha dedicato un ampio studio nel marzo 2021 esaminando le criticità e i rischi di questo fenomeno anche rispetto alla class action. Non si può infatti escludere che il Tplf ovvero il finanziamento di un contenzioso da parte di un terzo a fronte di una remunerazione in misura percentuale su quanto ottenuto in caso di esito favorevole, possa rivelarsi la chiave di (s)volta della class action; secondo lo studio, il Tplf garantirebbe infatti un fondamentale sostegno economico a numerose azioni di classe che, oggi, non vengono intraprese (anche) per mancanza delle necessarie risorse. Questo supporto economico, insieme all’estensione dei rapporti tutelabili e agli altri fattori incentivanti, potrebbe essere la combinazione giusta per il proliferare delle azioni di classe. Il possibile impatto del Tplf ha sollevato, nello studio del Parlamento Europeo, diversi interrogativi sulle criticità di questa pratica e su una possibile regolamentazione dei funder a livello europeo. Il tema cruciale è quello del conflitto di interessi tra funder e membri della classe, e ciò è tanto vero che è proprio questo aspetto a essere contemplato nella Direttiva Europea sulla class action, che stabilisce un divieto di influenza del finanziatore rispetto a ipotetiche transazioni. A dimostrazione della delicatezza dell’aspetto relativo al conflitto, la Direttiva prevede che gli Stati membri adottino meccanismi di disclosure dei fondi utilizzati per il finanziamento dell’azione e un vaglio dell’autorità sull’assenza di conflitti. Benché la diffusione del Tplf sia, quanto meno in Italia, ancora limitata, è possibile prevedere una proliferazione legata alla nuova azione di classe italiana e al recepimento della Direttiva sulla class action comunitaria, in attesa di una regolamentazione più ampia del fenomeno che il Parlamento Europeo ha prospettato. Il tutto è legato al superamento degli storici ostacoli al successo delle azioni di classe, in particolare al requisito dell’omogeneità dei diritti che spesso ha rappresentato uno scoglio di ammissibilità dell’azione. (riproduzione riservata)

Andrea Pantaleo e Giorgio Baronchelli

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