Il XXV Rapporto sull’economia globale e l’Italia del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo, traccia le coordinate di un nuovo mondo del lavoro che dovrà fare i conti con la digitalizzazione e la mancanza di competenze tecniche adeguate per le nuove professionalità del futuro.

A segnare la linea di passaggio tra due epoche è stato il Covid. L’emergenza pandemica ha accelerato alcune trasformazioni ormai irreversibili, soprattutto in riferimento
all’e-commerce e allo smart working, mentre la digitalizzazione delle imprese mette a rischio 1,5 milioni di occupati, posti in cassa integrazione durante i lockdown.

La crisi economica nella quale ci ha trascinato l’emergenza sanitaria ha evidenziato un problema strutturale che era già evidente nel nostro Paese.

Centro Einaudi

Secondo il Rapporto del Centro Studi Luigi Einaudi troppe categorie di lavoratori sono sprovviste delle competenze digitali necessarie a trovare nuovamente un lavoro, dopo avere perso un’occupazione in cui difficilmente saranno rimpiazzati.

In una situazione così intricata la vera chiave di volta riguarda in primo luogo gli imprenditori e non i dipendenti.

Il forte gap tecnologico delle imprese italiano rispetto a quelle estere è un dato di fatto. Diventa quindi fondamentale che le aziende si convincano a digitalizzarsi in modo da poter creare una nuova domanda di personale.

Dall’altra parte anche i lavoratori devono reinventarsi e acquisire nuove competenze, in un mercato del lavoro in cui ormai la tecnologia è componente integrante di qualunque comparto produttivo.

Lo studio è stato redatto e curato sotto la direzione di Mario Deaglio, docente di economia internazionale dell’Università di Torino. Deaglio si è occupato in primo luogo nel suo studio, di illustrare i principali cambiamenti nel mercato del lavoro causati dal primo lockdown. Un momento storico inaspettato ed estremo, che ha inevitabilmente costretto le aziende ad accelerare tantissimi cambiamenti che erano in programma per un periodo di tempo più lungo.

Lo studio pone in rilievo come a causa del pensionamento dei lavoratori nati fino al 1945, si stia perdendo un patrimonio di conoscenze tecniche indispensabili in diversi settori, a partire da quello manifatturiero. Filiere produttive che da sempre si sono nutrite dell’esperienza dei dipendenti nella lavorazione, adesso sembrano non poter trovare prosecuzione a causa delle scarse competenze in merito delle giovane generazioni. Continuando di questo passo “rischiamo di avere contemporaneamente molti disoccupati e molte imprese che non trovano il personale di cui avrebbero bisogno”. Per tutti questi motivi, riprendersi dalle conseguenze economiche che ci sta lasciando in eredità questa pandemia, non sarà semplice. E anche gli aiuti economici che arriveranno a breve dal Recovery Plan “rappresentano soltanto in parte la soluzione al problema”. In primo luogo perché sarà fondamentale impiegare i fondi messi a disposizione dall’Unione Europea in modo corretto, e questa, nel nostro paese, è una prospettiva tutt’altro che scontata. Il Recovery Plan sottoporrà l’Italia a uno sforzo titanico per fare le cose nei tempi previsti, secondo gli esperti del Centro Einaudi. Un’ulteriore problema è la scarsa chiarezza sulle modalità di valutazione dell’Italia da parte della Commissione Ue

Nel rapporto si sottolinea come il successo verrà misurato non solo dalla capacità di spendere, ma anche da quella di rimuovere, con riforme adeguate, i vincoli attuali alla crescita.

Tre le riforme principali secondo il Centro Einaudi: burocrazia, giustizia (civile) e riforma tributaria. Per ripartire l’Italia ha bisogno di investimenti buoni in infrastrutture, in ricerca e innovazione, in formazione del capitale umano.