Generali ha lanciato la proposta di un fondo europeo per gestire il rischio pandemico. Il primo obiettivo è proteggere le aziende dalla business interruption. Parla de Courtois, gm del Leone

di Andrea Cabrini
Quindici milioni di contagiati, 626 mila morti. 12.500 miliardi di dollari persi dalla economia globale (fonte Fmi). La pandemia ha stravolto la vita di Stati, famiglie e imprese. Anche per l’industria assicurativa, che si confronta con un rischio mai verificatosi prima, impossibile da prezzare e soprattutto da affrontare da soli. Le assicurazioni infatti funzionano sulla base della mutualizzazioe del rischio; tanti assicurati pagano un premio per proteggersi da un rischio che colpisce pochi. Il lockdown invece ha colpito tutti contemporaneamente. In particolare le attività economiche, costrette alla chiusura. In termini assicurativi una situazione insostenibile. Per questo Generali ha lanciato la proposta di realizzare un fondo europeo per gestire il rischio pandemico. Si è aperto un confronto tra industria e istituzioni. Sono al lavoro le associazioni nazionali (Ania per l’Italia), la rappresentanza europea delle compagnie, l’Eiopa , il Consiglio e la Commissione. Questa settimana Generali ha siglato un accordo con Eurochambres, che rappresenta 20 milioni di imprese, per spingere in questa direzione. A coordinare il gruppo di lavoro degli assicuratori europei è Frederic de Courtois, general manager di Generali, che a ClassCnbc ha spiegato la posta in gioco.
Domanda. De Courtois, che cosa volete ottenere con il fondo anti pandemia?
Risposta. Innanzitutto va ricordato che le compagnie assicurative hanno pagato sinistri su tutte le linee di business, dalla salute alla cancellazione di eventi. Ma c’è un rischio che riguarda le imprese ed è molto complicato. In inglese si chiama «business interruption» e indica l’interruzione di attività non provocata da un danno materiale. È complicato perché è generalmente escluso dalle perizie assicurative, perché non c’è diversificazione del rischio. L’assicurazione è basata sulla diversificazione del rischio. Quando succede un evento del genere tutti sono colpiti e quindi l’ammontare dei sinistri andrebbe molto oltre la capacità del settore assicurativo. È un problema difficile da risolvere perché non ci sono dati storici, e non c’è diversificazione. Ciononostante il settore assicurativo vorrebbe arrivare a una soluzione e si può fare solo con un piano in collaborazione tra settore privato, Stati nazionali e Commissione Ue.
D. Che cosa avete in mente?
R. Un nuovo schema di copertura assicurativa che potrebbe avere tre fasce: una garantita dal settore privato – assicuratori e riassicuratori – una dagli Stati e una dall’Europa. Vari Paesi ci stanno lavorando, inclusa l’Italia, e io guido un gruppo di lavoro per provare a mettere in piedi una soluzione a livello europeo.
D. In Francia le compagnie propongono meccanismi che rendano obbligatoria una quota di assicurazione del rischio pandemico per le imprese. La Germania punta più sul mercato dei capitali attraverso il ricorso ai Cat-bond. Qual è la vostra strada preferita ?
R. A livello europeo non c’è ancora consenso, ma non mi preoccupa: ci vuole discussione e lavoro tecnico, e ora siamo in questa fase.
D. Quale sarebbe il rischio se non si trovasse una soluzione comune?
R. Sarebbe il rischio politico che alcuni grandi Paesi mettano in piedi la copertura sulla business interruption e altri no. In quel caso, se ci fosse una seconda ondata di epidemia, alcuni business sarebbero coperti e altri no. Per questo è necessario un piano europeo per coprire tutti. Essendo una decisione molto politica, nelle prossime settimane dobbiamo capire se Consiglio Europeo e Commissione Ue metteranno questo fondo tra le priorità. Noi di Generali pensiamo che gli imprenditori abbiamo bisogno di una copertura simile.
D. Quanto ha pesato la pandemia sul business di Generali?
R. Il virus ha un impatto negativo su tutte le compagnie e anche su Generali. Ha un impatto negativo sul sinistri e investimenti. Ma Generali è più resiliente dei concorrenti. Questo è dovuto alla nostra bassissima esposizione ad alcune linee di business: per esempio, non facciamo assicurazione crediti né la cancellazione di eventi. Ma è dovuto anche alla grande resilienza della nostra rete agenziale, che, grazie a nuovi strumenti digitali, ha avuto la capacità durante il lockdown di continuare a supportare la clientela.
D. Ora è arrivato il Recovery Fund. Cosa cambia per voi?
R. È una ottima notizia e un grandissimo passo a vanti per la costruzione europea. Generali è la prima compagnia assicurativa in Europa, quindi per noi è molto importante avere istituzioni europee che funzionino bene e abbiano una missione chiara. In questa occasione sono state all’altezza della situazione, hanno cambiato ritmo.
D. Il Recovery Fund punta su digitale e ambiente. Quale contributo possono dare le assicurazioni alla ripresa? Siete pronti ad investire nella stessa direzione?
R. Sì, il settore assicurativo è il più grande investitore istituzionale in Europa con 10 trilioni di euro. Anche Generali ha una grande capacità di investimento – 500 miliardi – e vorremmo investire di più nella ripresa. Ma ci sono un po’ di precondizioni. La prima è la revisione di Solvency 2, che oggi rende molto costoso l’investimento a lungo termine. La seconda è che facciamo fatica a trovare degli investimenti, un po’ perché non ci sono abbastanza progetti green e un po’ perché facciamo fatica a trovare le piccole-medie aziende in cui investire. La terza condizione per noi è mettere a terra l’iniziativa della Commissione Ue «Sustainable Finance», che definisce quali sono gli investimenti green con una tassonomia molto chiara.
D. L’Eiopa (l’autorità europea di vigilanza sul settore) ha aperto alle vostre proposte sul fondo per coprire il rischio pandemico, ma chiede alle compagnie di non distribuire dividendi fino a quando la crisi non sarà finita.
R. Questo io lo chiamo «l’elefante nella stanza». Mi spiego: l’Eipoa ha fatto questa raccomandazione sui dividendi e poi ogni regolatore locale ha preso una decisione diversa. I tedeschi hanno autorizzato le compagnie a pagare dividendi, altri lo hanno vietato e poi ci sono tutti i Paesi, tra cui l’Italia, che stanno nel mezzo. Io osservo che il settore assicurativo è stato molto resiliente dal punto di vista della solvibilità, e in particolare Generali. Per questo abbiamo deciso di pagare la metà del dividendo negli ultimi mesi e abbiamo detto che a novembre il cda verificherà le condizioni per pagare la seconda tranche. Penso sia una decisione tecnica che deve essere basata sulla solidità delle compagnie, che ad oggi, in particolare per Generali, è molto alta. Per noi l’obiettivo è di pagare questo dividendo, perché pensiamo a tutti i piccoli risparmiatori che ne hanno bisogno. (riproduzione riservata)

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