Pagina a cura di Dario Ferrara
È condannato a risarcire la mala gestio il direttore generale che nasconde al consiglio di amministrazione le perdite della società per azioni, non appostandole a bilancio ma spalmandole negli esercizi successivi. E ciò perché nell’azione di responsabilità il dg va assimilato a un normale amministratore esecutivo cui il board ha affidato le deleghe. Inutile invocare l’insindacabilità nel merito per le scelte assunte da chi guida un’azienda: il principio anglossassone di business judgement rule non limita la responsabilità quando la decisione del manager risulta imprudente con una valutazione ex ante. È quanto emerge dalla sentenza 12108/20, pubblicata dalla terza sezione civile della Cassazione.

Diligenza professionale. Diventa definitiva la condanna a pagare i danni inflitta al dg dopo l’azione di responsabilità promossa dalla banca. Disastrosa l’operazione compiuta dal manager con il ricorso a rischiosi strumenti finanziari già costati cari alla società controllata: l’acquisto di Btp sottende operazioni con derivati per nascondere le minusvalenze e ha l’unico effetto di trasferire la perdita alla controllante.


Soprattutto il direttore generale agisce formalmente entro il limite delle deleghe ricevute ex articolo 2396 c.c. ma senza informare il consiglio d’amministrazione, come sarebbe stato necessario. Non c’è dubbio che l’iniziativa costituisca un vero e proprio atto di mala gestio societaria per le modalità non ortodosse con le quali si consuma sotto il profilo gestionale, amministrativo e contabile. Senza dimenticare che per i danni cagionati alla società di capitale la responsabilità degli amministratori ha natura contrattuale: ferma l’applicazione del business judgement rule, i manager non rispondono con la diligenza del mandatario ma in base alla diligenza professionale esigibile ex articolo 1176, secondo comma, c.c.

In soldoni, è il caso di dirlo, il direttore generale risarcisce la banca perché non ha il potere di decidere il risultato finale delle operazioni né di spalmare le perdite sugli esercizi successivi invocando il principio contabile internazionale Ias 39: la negoziazione degli swap collegati serve a neutralizzare soltanto in apparenza gli effetti negativi sul bilancio della spa.

L’iniziativa del manager, insomma, ha la conseguenza di nascondere l’incidenza sul patrimonio della società mentre i bilanci successivi vengono aggiustati con altre operazioni, in contrasto con i principi di verità, chiarezza e correttezza di cui all’articolo 2423 c.c.

Se l’acquisto dei titoli rientra senz’altro nei poteri statutari del direttore generale, la condanna al risarcimento scatta perché gli swap sono negoziati in spregio ai principi di corretta gestione societaria che incombono sul manager ex articolo 2392 c.c.: le operazioni, infatti, non risultano menzionate neanche nella relazione al bilancio, il quale va invece redatto secondo criteri inderogabili e indisponibili, stabiliti dalla legge. E l’inosservanza è fonte primaria di responsabilità per gli amministratori. Il tutto mentre le operazioni sottostanti all’acquisto dei Btp, effettuate mediante gli strumenti derivati, sono dirette a nascondere le minusvalenze generatesi nel periodo: la mancata informativa al consiglio di amministrazione grava dunque sul direttore generale che ha predisposto e azionato il meccanismo.

È vero: i consiglieri di amministrazione dell’istituto restano inerti anche dopo l’ispezione di Bankitalia. Ma ciò non significa che prima sapessero dell’operazione e, quindi, che possa essere scriminato il direttore generale che non ha adempiuto l’obbligo informativo. D’altronde anche per gli amministratori senza delega vale il principio dell’agire informato e non possono ritenersi esonerati da responsabilità soltanto per non aver ricevuto l’informazione.

Dunque? La circostanza che il board non contesti all’amministratore esecutivo le omissioni apprese in seguito non implica che fosse al corrente delle operazioni. E ciò perché in base all’articolo 2392, secondo comma, c.c. il consigliere di amministrazione non esecutivo nella società per azioni risulta responsabile in solido della violazione commessa non soltanto se evita d’intervenire per impedire che sia compiuta ma anche quando resta inerte invece di operare per eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.

Andamento generale. Dal direttore generale al presidente del Cda. Non evita la sanzione Consob l’ex vertice della società quotata in borsa che dopo l’operazione «incriminata» si giustifica che «non veniva mai informato». Anzi: equivale quasi a un’ammissione di responsabilità l’affermazione dell’interessato secondo cui sarebbe rimasto all’oscuro di un passaggio pur significativo della vita dell’azienda, come l’aumento di capitale necessario a un’acquisizione. E ciò perché l’amministratore della società per azioni deve comunque agire informato e il consigliere non esecutivo risulta tenuto a chiedere a chi ha le deleghe le notizie sulle vicende più importanti nella gestione della compagine.

È quanto emerge dalla sentenza 13150/20, pubblicata dalla seconda sezione civile della Cassazione.

Sono accolti solo due dei sette motivi del ricorso proposto dal manager multato dall’authority che controlla le società quotate in borsa. Ma si tratta soltanto della possibilità di ottenere sanzioni più favorevoli, perché applicate retroattivamente, e dello stop al contributo unificato aggiuntivo. E dunque risulta confermata la responsabilità del presidente del cda perché la relazione semestrale della banca diffonde dati falsi sulla dimensione del patrimonio dell’istituto (di base, supplementare e di vigilanza). L’illecito risulta ascrivibile all’interessato sul piano materiale e psicologico. Ogni amministratore, invero, può ottenere da chi è operativo le notizie sulla gestione ex articolo 2381, ultimo comma, c.c. laddove deve valutare l’andamento generale in base alla relazione degli organi esecutivi.

Non giova allora al manager dedurre di essere stato informato dell’aumento di capitale incriminato come un «qualsiasi altro» membro del board nelle sedute del cda. Né è utile lamentare che al momento del voto non vi fossero elementi per poter rilevare la non conformità dei dati contenuti nella relazione approvata.

I consiglieri non esecutivi, infatti, devono esercitare una funzione di controllo sulle scelte compiute dagli organi esecutivi: il cda ha d’altronde poteri di direttiva e avocazione rispetto alle operazioni che rientrano nella delega.

Nel mondo del credito, in particolare, bisogna esprimere un’adeguata conoscenza del business bancario e essere compartecipi delle decisioni strategiche assunte dall’intero consiglio di amministrazione.

È irrilevante che, anche in questo caso, la società per azioni sia un istituto di credito e in base alle disposizioni di Bankitalia il presidente del consiglio di amministrazione non possa svolgere ruoli esecutivi.

La sanzione Consob scatta perché alla vigilia dell’acquisizione la semestrale diffonde falsi dati sui coefficienti patrimoniali e a firmarla è proprio il numero uno in quanto legale rappresentante.

Da una parte, una volta che l’authority prova la fattispecie tipica dell’illecito amministrativo, spetta al trasgressore provare di aver agito in assenza di colpevolezza; dall’altra, quando si diffondono notizie false sulla società, rispondono tutti coloro che hanno concorso a pubblicare le informazioni in grado di fuorviare il mercato, anche per la qualità personale che rivestono all’interno della compagine. Va poi ricordato che pure gli amministratori non esecutivi hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi in tutte le aree di intervento della banca. E di attivarsi per esercitare in modo efficace una funzione di monitoraggio sulle decisioni adottate da coloro che sono titolari delle deleghe operative, non soltanto in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori, ma anche per esercitare i poteri di vigilanza riconosciuti ai consiglieri nell’ambito delle operazioni che rientrano nella delega.

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