di Giuseppe Guastella
Ci sono eroi ed eroi. A differenza dei colleghi assunti nella sanità pubblica o privata, i medici di famiglia e gli infermieri che si sono ammalati di coronavirus assistendo i pazienti non saranno indennizzati per i danni subiti, così come non avranno nulla le loro famiglie se sono morti, nonostante per anni abbiano pagato un’assicurazione. Per una questione interpretativa giuridica, infatti, le compagnie non riconoscono l’infezione da Covid-19 come infortunio sul lavoro. C’è già chi è pronto a rivolgersi alla magistratura.

Un medico, un dentista, un farmacista o un tecnico sanitario (infermieri, terapisti, radiologi ecc.) che lavorano con regolare contratto in una struttura sanitaria pubblica o privata e che si sono ammalati o si ammalano, speriamo non più, dopo essere stati contagiati da un paziente, possono contare sulla copertura assicurativa dell’Inail che considera ciò che è accaduto loro un infortunio sul lavoro. Di conseguenza, hanno diritto a un indennizzo se riportano un’invalidità permanente che, in caso di morte, viene versato ai familiari. I medici di medicina generale svolgono un servizio — è bene ricordarlo — pubblico in convenzione con il Servizio sanitario che li paga, ad esempio, per visitare i pazienti. Non possono rifiutarsi e se vengono contagiati è obiettivamente difficile non pensare a un infortunio, ovviamente sul lavoro. Lo stesso vale per i farmacisti, per i dentisti e per tutti gli altri operatori sanitari che hanno un’attività libero-professionale che li pone a contatto con il pubblico.

Questi professionisti di solito pagano volontariamente una polizza assicurativa che copre i danni da infortuni, versando in media tra i mille e i duemila euro l’anno. Nel loro caso, a differenza dell’Inail, però, le compagnie assicurative private escludono che il contagio possa essere considerato un infortunio e non coprono i danni. Lo fanno se l’assicurato ha stipulato una polizza anche contro le malattie, ma è una cosa molto rara perché in Italia, per fortuna, c’è il Servizio sanitario nazionale che cura gratuitamente.

Dall’inizio della pandemia l’Inail, spiega Patrizio Rossi, sovrintendente sanitario nazionale dell’Istituto, dati al 15 giugno, «ha ricevuto 49.021 denunce di infortuni sul lavoro da parte degli operatori del settore della sanità e dell’assistenza sociale, tra tutte la categoria più colpita con 236 decessi». Secondo i dati Inail, il maggiore numero di contagiati si è verificato tra i tecnici della salute (40,9%), seguiti dagli operatori socio-sanitari (21,3%), dai medici (10,7%) e dagli operatori socio-assistenziali (8,5%). Anche il maggiore numero dei morti è stato registrato tra i tecnici della salute (12%, di cui il 60% infermieri) seguiti dai medici (9,9%) e dagli operatori socio-sanitari (7,8%).

«Solo gli operatori infettati sul lavoro che sono assicurati dall’Inail sono tutelati da questi rischi» precisa Rossi. Gli esclusi sono migliaia come, appunto, i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, i farmacisti e i dentisti, professionalità tra le quali ci sono stati tanti contagiati e morti, tra cui 171 medici e 14 farmacisti. Per loro, quindi, le regole dell’Inail non valgono. «Sulla qualificazione dell’infezione come infortunio c’erano orientamenti opposti tra mondo assicurativo pubblico e mondo assicurativo privato già prima della pandemia», spiega Rossi, secondo il quale, «dal punto di vista tecnico-giuridico non c’è alcuna differenza tra il sistema assicurativo pubblico e quello privato sull’interpretazione dell’infezione come infortunio». Invece, «le assicurazioni private hanno sempre escluso tutte le malattie infettive dall’indennizzo, a meno che non siano collegate direttamente a una lesione subita in precedenza. Questo — prosegue Rossi — è un concetto ormai superato di fronte a una malattia che di per sé costituisce a tutti gli effetti un evento lesivo conseguente a una causa violenta-rapida-esterna. Quello che tecnicamente è considerato un infortunio dalla medicina-legale». Per trovare una soluzione, Inail ha promosso un gruppo di lavoro per studiare l’estensione della propria tutela ai medici e odontoiatri liberi professionisti. Su come affrontare le conseguenze della pandemia in generale si interrogano le assicurazioni che, come ha detto il presidente Ania Maria Bianca Farina, stanno cercando «una soluzione assicurativa che consenta una gestione ex ante della pandemia».

«Inutili le due polizze che aveva mio marito, tento la causa alla Asl»

«Mio marito è morto sul lavoro, per niente!».
La commozione per la scomparsa ancora troppo recente del marito Giandomenico Iannucci, medico di famiglia di 64 anni a Scarperia nel Mugello, ucciso il 2 aprile dal coronavirus contratto assistendo i suoi pazienti, rompe la voce di Lucia Barbieri.
Cosa è accaduto?
«Agli inizi di marzo Giandomenico non stava bene per una forte astenia. Ha chiamato la Asl chiedendo che gli venisse fatto il tampone. Gli hanno chiesto se avesse avuto contatti con pazienti Covid-19 e lui ha risposto di aver lavorato in ambulatorio e in una casa di cura per anziani».
Quindi?
«Niente tampone, gli hanno detto di aspettare. Invece la sindrome è andata avanti per più di una settimana. Il 16 marzo respirava male, ho chiamato il 118. Se lo sono portato via e non l’ho più rivisto. Il 2 di aprile è morto al Careggi di Firenze».
Cosa intende fare?
«Sto valutando un’azione legale contro la Asl per il tampone e perché a mio marito sono stati forniti i dispositivi di protezione troppo tardi. Anche io sono stata contagiata. Ho superato la malattia dopo due mesi».
Chiederà un risarcimento?
«Non c’è somma che possa risarcire me e mia figlia Ginevra. Come medico di base, mio marito non era tutelato dall’Inail, l’unica cosa è fare causa all’Asl».
Era anche assicurato privatamente?
«Aveva sottoscritto una polizza con Allianz e una con le Generali, ma mi hanno già comunicato che non provvederanno al risarcimento perché manca la causa violenta, esterna e improvvisa. Per loro non si tratta di un infortunio. Io sono liquidatore assicurativo e secondo me è proprio un infortunio sul lavoro perché l’introduzione del virus nel suo corpo è una causa violenta. So che non sarà facile, ci vorrebbe qualcosa».
Ad esempio?
«La volontà. Le compagnie di assicurazione sono state tre mesi ferme senza pagare un euro perché con il lockdown non ci sono stati sinistri, ma i premi li hanno incassati lo stesso. Potrebbero anche fare qualcosa nei confronti dei loro assicurati morti sul lavoro a causa del coronavirus. Noi in quindici giorni siamo passati da una vita serena a dover fare attenzione ad ogni spesa. Ora non abbiamo più nulla».

Fonte: Corriere della Sera