Secondo il Rapporto annuale ISTAT sono oltre 4 milioni i lavoratori italiani in smart working, 3 milioni in più rispetto al 2019. Inoltre, secondo le rilevazioni dell’Istituto Statistico  la percentuale di chi lavora da casa sta progressivamente aumentando: è passata dal 12,6% di marzo al 18,5% di aprile e nell’ultimo mese si è registrata un’ulteriore crescita.

I 4 milioni però potrebbero potenzialmente raddoppiare: “La stima dell’ampiezza potenziale del lavoro da remoto, basata sulle caratteristiche delle professioni, porta a contare 8,2 milioni di occupati (il 35,7%) con professioni che lo consentirebbero” si legge nel report. “Si scende a 7 milioni escludendo le professioni per le quali in condizioni di normalità è comunque preferibile la presenza sul lavoro (ad esempio gli insegnanti)”.

L’Istat evidenzia che nonostante in Italia l’organizzazione del lavoro sia ancora “rigida”, “l‘esperimento dello smart working, bruscamente accelerato dall’emergenza sanitaria, ha messo in evidenza le potenzialità dello strumento, al netto delle criticità legate all’ampio divario digitale che caratterizza il Paese e alle cautele legate agli squilibri tra lavoro e spazi privati”.

“Il rischio è che il confine tra tempi di lavoro e tempi di vita diventi labile”, sottolinea l’Istat puntualizzando che circa il 40% di chi lavora da casa dichiara di essere stato contattato fuori dell’orario di lavoro almeno tre volte da superiori o colleghi nei due mesi precedenti. E si sale quasi al 50% tra chi usa la propria abitazione come luogo di lavoro occasionale.

Il lavoro a distanza potrà rappresentare, secondo l’Istat, una grossa opportunità anche a emergenza Coronavirus conclusa: fra i vantaggi indicati l’ottimizzazione dei tempi lavorativi e la riduzione dei costi e dell’impatto ambientale.

Secondo l’Istat il lavoro da remoto potrebbe riguardare maggiormente le donne (37,9% contro il 33,4% degli uomini), gli ultracinquantenni (37,6% contro 29,5% dei giovani occupati) e soprattutto i laureati (64,2%).

A livello regionale sarebbe il Centro-nord l’area più interessata (37% contro 28,8% del Mezzogiorno). Possono essere svolte da remoto “in condizioni ordinarie soprattutto le professioni nei comparti dell’informazione e comunicazione, delle attività finanziarie e assicurative e dei servizi alle imprese (con quote tra il 60 e il 90%)”, si legge nel report. Nel 2019, il lavoro da casa in questi tre settori ha interessato una quota relativamente alta di occupati (rispettivamente 19,8%, 10,9% e 22,1%). Nei servizi generali della PA il 56,5% potrebbe sperimentare il lavoro a distanza ma nel 2019 lo ha effettivamente utilizzato solo il 2,7%.

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