La crisi colpisce pesantemente le imprese italiane, ma non tutte allo stesso modo.

Secondo le analisi dell’Istat, il 38,8% delle imprese ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno. Il pericolo di chiusura riguarda però maggiormente le micro imprese (40,6%, per circa 1,4 milioni di addetti) e le piccole (33,5%, 1,1 milioni di occupati).

Vanno meglio le cose, anche se non c’è proprio da esultare, tra le medie imprese dove rischiano la chiusura entro la fine dell’anno il 22,4% delle imprese (450 mila addetti) e tra le grandi (18,8%, 600 mila addetti).

Utilizzando i cluster individuati dalle analisi sul Censimento permanente delle imprese 2019, prosegue l’Istat, è anche possibile valutare la presenza di eventuali effetti selettivi legati al grado di dinamismo dell’impresa: il rischio di chiusura riguarda più di un terzo delle unità produttive con basso dinamismo, mentre la quota si riduce a circa un quinto per quelle più dinamiche.

A livello settoriale, la criticità operativa delle imprese riflette la mappa associata ai provvedimenti di chiusura, colpendo in maniera più evidente i servizi ricettivi e alla persona: il 65,2% delle imprese dell’hotellerie e ristorazione (19,6 miliardi di euro di valore aggiunto, poco più di 800 mila occupati) e il 61,5% di quelle nel comparto dello sport, cultura e intrattenimento (3,4 miliardi di euro di valore aggiunto, circa 700 mila addetti).

Anche negli altri settori l’impatto è rilevante interessando circa un terzo delle imprese della manifattura (4 miliardi di euro di valore aggiunto, 760 mila addetti), delle costruzioni (1,3 miliardi di euro valore aggiunto, circa 300 mila occupati) e del commercio (2,5 miliardi di valore aggiunto, poco meno di 600 mila addetti).

Istat