di Luca Gualtieri
Nel secondo giorno dell’ops lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi (ieri le adesioni sono salite di un ulteriore 0,32%) hanno tenuto ancora banco le schermaglie tra i due istituti. Dopo le risposte che lunedì via Monte di Pietà ha indirizzato a Ubi, ieri il gruppo guidato da Victor Massiah ha preso di nuovo l’iniziativa. Il tema più sensibile al centro del confronto è rimasto quello della quota che Intesa avrà al termine dell’offerta. Nel caso in cui non riuscisse a fondersi con il target, spiega la nota di Ubi, Intesa «non potrebbe legittimamente imporre a Ubi di dare corso alla cessione» dei 532 sportelli «a Bper e, conseguentemente, alla vendita dei rami assicurativi a UnipolSai», come proposto all’Antitrust. Il tema della partecipazione post ops era stato posto per la prima volta proprio dall’authority guidata da Roberto Rustichelli, che, sollecitata sul tema dai legali di Ubi, aveva sollevato il problema dell’attuazione degli accordi senza il controllo dei due terzi. L’obiezione non è delle più lineari e si vedrà se il collegio dell’Antitrust la farà sua nel verdetto finale atteso entro il 25 luglio prossimo.

Di certo le perplessità avanzate dall’authority fanno gioco a Ubi (assistita dagli studi legali Bonelli Erede e Linklaters). Come ribadito ancora ieri, secondo il gruppo lombardo la vendita degli sportelli non potrà essere deliberata prima di una fusione. La ragione? L’esistenza di un azionista di controllo, che intenda indirizzare la gestione della controllata, non dovrebbe «comportare l’abbandono del principio giuridico in forza del quale ogni società deve essere gestita dai propri amministratori perseguendo e tutelando l’interesse di tutti gli azionisti». Tema peraltro già sollevato venerdì nel comunicato dell’emittente, in cui la legittimità dell’adesione di Ubi alla vendita degli sportelli veniva condizionata all’esistenza e alla dimostrazione dell’interesse del gruppo al compimento dell’operazione.

Per Intesa però l’obiezione di Ubi è scorretta. Su questo punto lunedì il gruppo di Carlo Messina (assistito dallo studio Pedersoli) si era espresso con chiarezza: acquisendo almeno il 50% del capitale più un’azione di Ubi, Intesa potrà esercitare la maggioranza dei diritti di voto in assemblea, potrà legittimamente nominare un nuovo cda (con la partecipazione di consiglieri indipendenti come previsto dalla legge e dallo statuto) ed eserciterà attività di direzione e coordinamento. Tale attività può consistere in direttive concernenti, a titolo esemplificativo, l’ambito del controllo strategico, quello organizzativo e, più in generale, quello gestionale.

Ieri intanto Intesa ha incontrato le associazioni dei consumatori aderenti al Cncu. Durante l’evento in video conferenza, alla presenza di Stefano Barrese (responsabile Divisione Banca dei Territori di Intesa), sono stati richiamati gli elementi essenziali dell’ops con particolare riferimento alla possibilità per i piccoli risparmiatori di aderire. Le associazioni hanno dichiarato di volersi rendere parte attiva in merito alla trasparenza di tutta l’operazione, (riproduzione riservata)

La sottovalutazione? Dipende anche dai conti
Il cda di Ubi Banca, supportato dai suoi advisor, ha respinto l’ops di Intesa, partita lunedì, in quanto sottostima valore e potenzialità della banca. L’affermazione può essere vera, anche se del futur non v’è certezza, soprattutto di questi tempi. Certo è comprensibile per chi, suo malgrado, è diventato preda dopo aver tanto esternato di essere soggetto aggregante. Nel comunicato di Ubi manca però un pezzo importante di analisi. Come mai si trova a essere sottovalutata e il suo valore potenziale non riconosciuto dal mercato? Le occasioni per presentare la strategia non sono mancate né manca la continuità dei vertici, in carica da diversi mandati, e del top management, da circa 15 anni.

Il settore ha visto alti e bassi, ma questo vale anche per chi, in termini di utili, ha fatto meglio. Intesa in 15 anni ha molto sviluppato asset management, assicurazioni, investment banking e rete internazionale, da cui oggi trae gran parte dei risultati. Non altrettanto ha saputo fare Ubi, più dipendente dal business tradizionale, da tempo poco attraente per i tassi d’interesse bassi. I vertici di Ubi hanno dedicato molto tempo, forse troppo, alla governance: tradizionale, duale, monistico, trasformazione da cooperativa in spa… In parte lo ha fatto anche Intesa. Sia Ubi che Intesa hanno poi assorbito delle banche fallite: Intesa le due venete; Ubi nel Centro Italia. Lavoro extra, ma nel caso di Intesa i risultati non ne hanno troppo risentito. Tutto ciò agli investitori istituzionali era ben noto e riflesso nei corsi azionari. Qualunque investitore/venditore sarebbe lieto di vedere un rialzo del prezzo, ma a differenza altre opa od ops il prezzo offerto per Ubi non ha suscitato grandi proteste dei fondi. Sono anni che analisti e broker nelle loro ricerche evidenziano la buona solidità di Ubi, ma anche la difficoltà a tradurla in ricavi e utili adeguati. I vertici hanno navigato abilmente tra tante aggregazioni, che tuttavia, a partire dall’unione tra Bergamo e Brescia, hanno dato soddisfazioni economiche relativamente modeste agli azionisti. La proposta alternativa all’ops, ossia fare entro un anno un’altra operazione straordinaria per fare emergere più valore, sembra poco attraente, anche perché i target sarebbero gli stessi, non convincenti, del passato (Banco Bpm, Mps o Bper), ma il contesto più difficile. Con Intesa le sinergie paiono invece maggiori e immediate. E il management di Intesa ha dimostrato migliori risultati e capacità esecutive. Potrà dispiacere ed è difficile ammetterlo, ma la sottovalutazione per cui i vertici di Ubi respingono l’ops riflette anche qualità e risultati del management. Su questo alcuni influenti azionisti, fondazioni o altri pattisti, hanno qualche responsabilità. Le scelte-chiave e quelle sulle nomine sono state anche loro, quali che ne fossero le ragioni; dovrebbero quindi chiedere conto al cda dei risultati e della sottovalutazione o fare un po’ di autocritica. Ma tra i banchieri, anche in casi ben diversi da Ubi, che resta un’ottima banca, l’autocritica è merce rara: Bianconi, Berneschi, Consoli, Jacobini, Mussari… a sentire loro i banchieri non sbagliano mai, la colpa è del mercato. (riproduzione riservata)