Pagine a cura di Roxy Tomasicchio
Le imprese ritrovano l’ottimismo. Almeno per quanto riguarda la percezione degli effetti della crisi e i tempi di ripresa. Restano, invece, pesanti le stime sui cali di fatturato e sulla ripartenza dei consumi, uno tra i principali timori degli imprenditori. Lo rivela il rapporto «Termometro Italia Aziende- Come le imprese italiane affrontano la ripresa dopo la crisi Covid-19», redatto da Innovation Team, società di ricerca del Gruppo Cerved.
Passando alle cifre, l’indagine, effettuata nell’ultima decade di giugno su un campione di 500 imprese di tutti i settori, in rappresentanza delle 225 mila aziende italiane con almeno 10 addetti, indica che, rispetto alla precedente rilevazione, diminuiscono coloro che si ritengono vulnerabili per le perdite subite: dal 42,9% al 34,9%. Ancor meno quanti si considerano a rischio sopravvivenza: dal 17,4 al 14,3%.
Il 70,8% delle imprese è tornato a una condizione di quasi totale operatività, salvo piccole limitazioni imposte dalle norme di sicurezza. E già a maggio, la metà delle aziende italiane (49,2%) era pienamente o quasi pienamente operativa. La maggior parte delle aziende (73,9%) ha subito perdite significative, ma in molti casi (39,1%) conta di recuperarle.

Il clima pessimistico della fase immediatamente seguente al lockdown sembra lasciare il testimone a una «nuova normalità» improntata a un maggior ottimismo, tuttavia la recessione lascerà il segno: più di un’azienda su due (il 51,2%) prevede un calo del fatturato superiore al 20% rispetto all’anno precedente. Addirittura per il 21,1% la perdita sarà superiore al 50% del fatturato. «Occorre anzitutto dire che, rispetto al mese precedente, è molto cresciuto il numero di imprese che hanno utilizzato i sostegni pubblici o che non li hanno ancora utilizzati ma si stanno orientando a farlo: dalla cassa integrazione (76%) alle agevolazioni fiscali (56%); e dalle moratorie sui prestiti ai contributi a fondo perduto ai finanziamenti garantiti dallo stato (con quote oscillanti tra il 47 e il 49%)», spiega a ItaliaOggi Sette Enea Dallaglio, partner di Innovation Team. «Prevale largamente, per il 76% delle imprese, l’opinione che questi provvedimenti siano utili ma non possano essere risolutivi. Sono utili a mitigare la crisi di liquidità, che non è cosa da poco; ma la preoccupazione maggiore, per il 58,2% delle imprese, è che non ripartano i consumi, o ripartano troppo lentamente».

Come intervenire? Già quest’anno saranno pianificate misure urgenti, mirate alla sopravvivenza: il 15,5% affronterà una ristrutturazione, chiudendo o riconvertendo parti dell’attività; il 22,6% ridurrà il personale, e per il 17,9% potrebbe trattarsi di tagli drastici. Nonostante queste misure, nove aziende su cento (8,7%) credono sia probabile la chiusura definitiva entro l’anno.

A far temere di più gli imprenditori è la riduzione dei consumi. Per dare il la alla ripresa sarà importante recuperare la fiducia di consumatori, visto che la preoccupazione per il calo della domanda cresce, rispetto al mese precedente, dal 43,2 al 58,2%.

Seguono le difficoltà finanziarie, ma solo per le imprese più a rischio (il 20,6% delle imprese). In calo, invece, le preoccupazioni legate alle difficoltà logistiche provocate dall’emergenza (solo per il 6,4% rispetto al 10,5% di maggio).

La fiducia riaffiora poi quando si parla dei tempi di ritorno ai livelli produttivi pre-crisi. Su questo punto la prospettiva delle medie e grandi aziende è più ottimistica: la maggior parte (tra il 58 e il 59%) delle aziende con più di 50 addetti pensa di tornare alla situazione di fatturato precedente l’emergenza già nel secondo semestre del 2020. Per le aziende più piccole, invece, la normalizzazione sarà possibile solo a partire dal 2021.

«Come si è visto il 14,3% delle imprese si considera a forte rischio di sopravvivenza. Il settore in cui questa percezione è avvertita in modo più drammatico, dal 58% delle imprese, è quello della ristorazione e alberghiero», commenta Dallaglio. «Sono certamente colpiti anche i comparti manifatturieri più orientati all’esportazione, ma appaiono fiduciosi della possibilità di una rapida ripresa». All’opposto, aggiunge «il 27,7% delle imprese prevede di tornare a un buon livello produttivo già negli ultimi mesi di quest’anno. Questa quota è decisamente maggiore nei settori che non hanno subito il lockdown, come l’agricoltura (34%), e dai servizi del terziario avanzato come le telecomunicazioni, l’informatica, la consulenza (38%) che hanno utilizzato sistematicamente il telelavoro. Inoltre le grandi aziende sono molto più fiduciose delle pmi e delle microimprese».

La crisi provocata dall’emergenza Covid-19 agisce da acceleratore della trasformazione industriale. Guardando ai prossimi due anni, più della metà delle imprese (54,1%) pensa di modificare l’organizzazione, in quasi tutti gli ambiti della vita aziendale: la gestione del personale (43,8%), i canali commerciali (42,3%), le tecnologie (40,1%), i fornitori (39,9%), le scelte di mercato su cui indirizzare l’offerta (39,1%).


E a proposito di trasformazioni, con l’emergenza Covid-19 si è diffuso il ricorso allo smartworking, utilizzato dal 43,9% delle imprese. In molti casi (30,5%) si è trattato di un’esperienza nuova, accelerata dalla necessità. Solo nel 13,4% di aziende era già utilizzato prima della crisi. Fanno eccezione tutti quei comparti in cui è richiesta la presenza fisica sui luoghi di lavoro: agricoltura, industria e costruzioni, per esempio. Per il 64,9% di aziende solo una piccola parte degli addetti, meno del 20%, ha potuto lavorare da remoto. Ma nel 20,8% delle aziende questo modo di lavorare è stato praticato da più del 40% dei dipendenti, e il 10% delle aziende ha riconvertito al telelavoro pressoché tutta l’organizzazione.

Nel periodo del picco della pandemia il lavoro a distanza è stato vissuto come una soluzione di grande successo, che ha permesso di mantenere attiva l’azienda, ora però diminuiscono gli entusiasti e si riconduce lo smartworking alla sua funzione non sostitutiva del lavoro tradizionale: un modo per organizzare il lavoro in modo più agile, allo scopo di migliorare la produttività e venire incontro alle esigenze dei dipendenti, valutando caso per caso. Le imprese continueranno a utilizzarlo in modo episodico (32,7%) o sistematico (19,1%), ma solo nel 5,1% dei casi sarà la modalità di lavoro preferenziale. Dal confronto tra il punto di vista delle aziende e quello dei lavoratori (affiancando i risultati dell’indagine con l’ultima edizione di Termometro Italia – Famiglie), questi ultimi mostrano un atteggiamento molto più positivo di quello delle aziende verso l’introduzione sistematica e generalizzata dello smartworking.

La crisi è stata anche occasione per affrontare il tema della sostenibilità E ha rafforzato nel 75% delle imprese la consapevolezza dell’importanza dell’impatto sociale e ambientale: il 45,2% delle imprese dichiara l’intenzione di introdurre un piano di sostenibilità nella strategia aziendale. Salvo scontrarsi con le difficoltà economiche: il 52,1% delle imprese ha meno risorse da dedicare. Difficoltà, però, che sono avvertite in modo molto diverso secondo gli impatti provocati dalla crisi: coinvolgono solamente il 29,6% delle imprese che hanno mantenuto un fatturato stabile, e raggiungono il 70,1% delle imprese con una forte riduzione del fatturato.

Per affrontare l’emergenza molte aziende hanno attuato azioni di sostegno a favore dei propri dipendenti, dei clienti e delle comunità locali.

Si è trattato di un modo molto concreto di avviare politiche di sostenibilità sociale. Il 36,4% di aziende ha intrapreso azioni a sostegno dei dipendenti (oltre quelle prescritte dalle autorità) e il 23,4% a favore dei clienti, per facilitarli in un momento di grave difficoltà. Sono state molto attive soprattutto le aziende agricole, con quote superiori al 40%. Il 23,9% di aziende ha sostenuto le comunità locali, con donazioni e altre iniziative. Sono state molto attive soprattutto le grandi e medie aziende: il 62,5% di quelle oltre 50 addetti ha intrapreso questo genere di iniziative sociali.

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