Dopo il rosso del primo trimestre, la ripresa dei listini 
ha permesso ai gestori previdenziali di recuperare le perdite. Ecco
i negoziali e gli aperti che hanno difeso meglio le pensioni di scorta

di Paola Valentini

All’inferno e ritorno. Sono stati sei mesi complessi anche per i fondi pensione per via dei crolli dei listini innescati dalla pandemia. Entrati nel 2020 con l’eredità positiva del 2019, i primi tre mesi si sono chiusi in rosso: -5,2% medio al netto di costi e fiscalità per i fondi negoziali, -7,5% per i fondi pensione aperti e -12,1% per le polizze previdenziali di tipo unit linked (pip). Poi la poderosa discesa in campo delle banche centrali, con l’avvio di piani straordinari di politica monetaria a sostegno delle economie globali messe sotto scacco dall’emergenza del Coronavirus, ha permesso un repentino recupero dei mercati finanziari. Risultato: nei primi sei mesi le perdite dei fondi pensione negoziali si sono ridotte al -0,9% medio e quelle degli aperti al -2,1%. Ma non manca chi è riuscito a chiudere il semestre sopra la parità con rendimenti netti superiori all’1%, tra i negoziali e oltre il 3% tra gli aperti. Dai dati dei fondi negoziali raccolti da MF-Milano Finanza emerge infatti che la migliore è stata la linea Dinamica di Laborfonds con il 1,16%. Sopra l’1% c’è anche il comparto Reddito di Solidarietà Veneto (1,15%). Entrambi sono fondi regionali, il primo Laborfonds è dedicato ai dipendenti di datori di lavoro che operano nel territorio del Trentino Alto Adige (possono aderire al fondo anche i soggetti fiscalmente a carico degli aderenti), il secondo è riservato ai lavoratori dipendenti e autonomi attivi nella regione Veneto. Bene anche la linea Crescita di Fon.Te. (dipendenti del commercio, del turismo e dei servizi, +0,79%), la Prudente di Prevaer (trasporto aereo, +0,65%), il Bilanciato di Fondo Poste (+0,60) e la linea Prudente di Fondemain (+0,35%), altro fondo territoriale (Val d’Aosta).

«Marzo, con il suo -5,93% è stato il peggior mese della storia del comparto Dinamico, superando largamente giugno e settembre 2008 all’epoca della crisi Lehman. Ma poi l’intervento delle banche centrali e degli Stati a sostegno dei mercati è stato tale da permettere un recupero repentino quanto inatteso», afferma Paolo Stefan, direttore del fondo Solidarietà Veneto. Certo, si è trattato di un rimbalzo che alcuni analisti definiscono fin troppo ottimista perché «incorpora apparentemente l’aspettativa di una ripresa a V delle economie, ma non collima con un quadro di complessivo scetticismo da parte degli investitori», aggiunge Stefan. Una conferma di questa dicotomia arriva da Johanna Kyrklund, chief investment officer e global head del multi-Asset di Schroders: «Le immense misure di stimolo adottate da banche centrali e governi continuano a guidare i mercati al rialzo, facendo insorgere alcune preoccupazioni. Con il tasso di contagio che si alza significativamente negli Stati Uniti, potrebbe essere il momento di spostare il focus. Nell’economia più grande del mondo potrebbe verificarsi un ulteriore aumento nel numero delle vittime, frenando la ripresa. Temo che i mercati siano pronti per tale eventualità. Anche se non ci sarà un ritorno al lockdown, l’impatto economico potrebbe farsi sentire, a causa dell’aumento dei timori tra i consumatori. Dopotutto, quella in corso è una crisi guidata dai consumi e i timori potrebbero rallentare il ritorno ad abitudini normali». Resta il fatto che l’azionario, sostenuto dalla massa di liquidità fornita dalle banche centrali, viene guardato con favore. «Ritengo sia probabilmente troppo presto per adottare una view negativa sull’azionario, che significherebbe contrastare il potere delle banche centrali, che continuano a sostenere un rally di mercato. Tuttavia, per gli stessi motivi, ritengo sia al tempo stesso troppo tardi per essere bullish sull’azionario. La strada giusta credo si trovi nella neutralità». Ma a giocare a favore dell’equity c’è anche la mancanza di alternative, dati i tassi ai minimi, sull’obbligazionario: «Si investe nell’azionario perché i bond, i titoli di stato offrono rendimenti negativi o nulli», nota Stefan
In questo scenario nei primi sei mesi dell’anno i comparti di Solidarietà Veneto, fondo da sempre improntato al contenimento del rischio, si dimostrano più resistenti rispetto alla media di mercato. In particolare, il comparto Reddito, che raccoglie l’adesione di quasi un iscritto su due, segnava, nel mese peggiore, una riduzione piuttosto contenuta (-2,3%). La tenuta nel culmine della crisi ha poi facilitato la risalita, così che al 30 giugno fa +1,15% da inizio anno», aggiunge Stefan. Torna positivo anche il Dinamico (+0,10% da inizio anno), fra i pochi azionari a vedere già il segno più. Il Prudente raggiunge anch’esso la soglia di parità (-0,09%) e, per chiudere, la performance del Garantito Tfr che, nel primo semestre, si allinea invece al minimo garantito (rivalutazione del Tfr, stimata a +0,62%) concludendo così il lungo periodo di gestione a cura di Cattolica che, da luglio, ha passato il testimone al nuovo gestore Generali Insurance Am. Cambiamenti in vista anche per la linea Dinamica di Laborfonds che dal primo luglio ha aumentato il profilo di rischio puntando di più sulle azioni: la percentuale minima passa dal 30 al 50% e quella massima dal 60 all’80%. Inoltre sempre per avere maggiore diversificazione si incrementa l’investimento in valute diverse dall’euro (restando nel limite del 30% previsto dalla normativa). «L’obiettivo è di rendere più appetibile la linea Dinamica per gli aderenti che hanno una maggior propensione al rischio tenuto anche conto dell’età degli stessi e quindi dell’orizzonte che li separa dal pensionamento, rispetto a quelli della linea Bilanciata o della Linea Prudente Etica», affermano dal fondo del Trentino Alto Adige guidato dal direttore generale Ivonne Forno.

Intanto si ampliano le possibilità di investimento e, dopo l’esperienza del Covid, i fondi pensione guardano sempre di più all’economia reale. Assofondipensione ha avviato con Cdp un progetto che porterà a partire dal terzo trimestre di quest’anno alcuni fondi negoziali aderenti all’associazione ad investire nei fondi di fondi sul private equity e sul private debt sull’Italia gestiti dal Fondo italiano di investimento Sgr. Altrettanto importanti sono gli investimenti in infrastrutture per le loro caratteristiche di redditività di lungo periodo che ben si adattano alle esigenze di erogazione dei fondi pensione. Non a caso i gestori previdenziali sono stati chiamati in causa per un coinvolgimento in Autostrade per l’Italia nell’ambito del passaggio delle quote appena definito da Atlantia alla Cdp.

«Come già accaduto in precedenti crisi, i fondi hanno contenuto le perdite, a conferma della validità dell’approccio gestionale, che è in grado di mitigare l’impatto dell’aumento della volatilità», osserva Mario Padula, presidente della Covip. Valutando i rendimenti su orizzonti più propri del risparmio previdenziale, l’impatto della crisi appare ancora più limitato. Considerando l’andamento dall’inizio del 2010 al primo trimestre di quest’anno, i rendimenti medi annui composti sono stati positivi e pari, rispettivamente, al 3% per i fondi negoziali e i fondi aperti, al 2,4 e al 2,5% per i pip di ramo III e per quelli di ramo I. La rivalutazione del Tfr nello stesso periodo si attesta al 2%.

Ma a fronte di questi risultati in ripresa «il rischio è che la crisi non solo riduca la propensione all’adesione a fronte di altre urgenti esigenze sopravvenute, ma determini addirittura la fuoriuscita dal sistema dei lavoratori, magari perché disoccupati, o ne ridimensioni la partecipazione, ad esempio per la necessità di fronteggiare un calo di reddito», dice Padula. E le fasce più sotto pressione sono le donne e i giovani, ovvero quelle che più avrebbero bisogno di protezione. «I dati relativi ai primi mesi dell’anno non sono ancora esaustivi dell’impatto che la crisi indotta dall’emergenza epidemiologica può determinare sulla continuità dei versamenti contributivi o su un maggior ricorso alle prestazioni del fondo. Tuttavia, nei prossimi mesi è ragionevole attendersi, anche in relazione all’entità della caduta dell’attività economica, la flessione dei contributi e l’incremento delle richieste di prestazioni», avverte Padula. I tassi di adesione intanto restano sotto al 40%, contro una media di alcuni Paesi europei dell’80%. E’ necessario quindi un rilancio della previdenza complementare dato il suo ruolo nell’integrare la pensione pubblica destinata a essere sempre meno generosa. (riproduzione riservata)

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