Nel respingere l’ops di Intesa il cda Ubi propone un progetto
alternativo, ma dai soci arrivano aperture alla proposta di Ca’ de Sass Intanto lunedì 6 parte l’offerta. Messina: ora la parola passa al mercato
Luca Gualtieri
Alla vigilia della partenza dell’ops di Intesa Sanpaolo c’è grande movimento tra i soci di Ubi. Se l’opposizione oltranzista è ormai sostenuta soltanto da frange minoritarie, in molti hanno optato per un approccio più pragmatico. Basti pensare alle fondazioni che rappresentano oltre il 10% del capitale del gruppo lombardo e che hanno fatto più di un’apertura a via Monte di Pietà. «Siamo disponibili a valutare e studiare i termini dell’offerta lanciata da Intesa su Ubi, di cui siamo soci», ha dichiarato giovedì 2 il presidente della Fondazione Monte di Lombardia (socio al 5%), Aldo Poli, aggiungendo: «Auspichiamo un ritocco all’offerta. Di certo valutiamo quello che è meglio per noi». Una posizione condivisa da molti sia dentro sia fuori dai tre patti di sindacato che oggi blindano quasi il 30% di Ubi. Si ritiene peraltro che proprio la posizione assunta da Poli negli ultimi giorni abbia spinto Mario Cera alle dimissioni dal comitato di presidenza del Comitato Azionisti di Riferimento: «Il Car era nato in un altro momento, con un’altra prospettiva, non quella di affrontare un’offerta come quella di Intesa Sanpaolo, per cui ho preferito per ragioni sia professionali che personali lasciare», ha tagliato corto Cera venerdì 3.

Nella compagine sociale di Ubi insomma i toni appaiono diversi da quelli usati dal consiglio di amministrazione della banca che, nel comunicato dell’emittente diffuso venerdì 3, ha rispedito al mittente la proposta di Intesa. Una posizione coerente con la linea seguita sinora, come dimostrano del resto le argomentazioni portate a sostegno del no. Gli amministratori di Ubi all’unanimità si sono appellati all’esiguità del prezzo e alle presunte incoerenze nella strategia di Intesa, facendo leva ancora una volta su un controfattuale ribadito spesso in questi mesi: l’aggregazione impedirebbe al gruppo lombardo di dare vita al terzo polo bancario italiano. Il board ha anche messo sul tavolo una proposta alternativa che, aggiornando gli obiettivi del piano triennale, offrirebbe ai soci di Ubi 330 milioni di dividendi in più e altri target ambiziosi. Non solo. Nel respingere l’ops il gruppo lombardo non si immagina un futuro stand alone, ma si è impegnato a individuare il partner per una fusione entro la fine di quest’anno. Per quanto riguarda le operazioni straordinarie, Ubi ha deciso di internalizzare il comparto assicurativo relativo ad Aviva Vita a partire dal 30 giugno 2021, attraverso l’acquisto della totalità del capitale della joint venture, e di valorizzare le sue attività di merchant acquiring, dalle quali si attende un impatto positivo complessivo sull’utile netto di circa 350 milioni. A stretto giro è arrivata la risposta del ceo di Intesa, Carlo Messina: «la prospettiva che offriamo, diversamente da quanto sottolineato nel comunicato di Ubi, è di essere parte di un importante progetto che avrà nella creazione di valore per tutti gli stakeholder – azionisti, management, dipendenti, clienti – e nella distribuzione di flussi di dividendi sostenibili nel tempo alcuni significativi punti di forza e che, nel contempo, contribuirà in maniera determinante allo sviluppo dell’economia reale di tutte le aree interessate», ha commentato Messina, parlando di un «progetto volto a creare un gruppo ai vertici europei del settore, rafforzando al contempo il contesto domestico. Ora la parola passa agli azionisti».

Se insomma il ceo di Ubi Victor Massiah e il presidente Letizia Moratti hanno cercato di tratteggiare un percorso alternativo per la banca, i soci starebbero guardando a ipotesi più realistiche. In molti, sia al vertice delle due fondazioni che tra i privati, sono convinti che un compromesso con Intesa sia ancora possibile e che in questa direzione valga la pena lavorare. Non per caso riunioni e conference call si rincorreranno tra il weekend e i primi giorni della prossima settimana (lunedì 6 è previsto un cda della Fondazione Monte di Lombardia nel corso del quale l’ente dovrebbe nominare il successore di Cera nel comitato di presidenza del Car).

Va detto comunque che in questo momento un compromesso potrebbe convenire più ai soci di Ubi che a Intesa. Sebbene sia ancora pendente il giudizio dell’antitrust, per Ca’ de Sass potrebbe non essere un problema fermarsi poco sopra la maggioranza assoluta. Il gruppo si aspetta infatti di arrivare alla fusione anche con il 50% più un’azione, in un deal che avrà costi di integrazione stimati in 1,3 miliardi e sinergie pari a 662 milioni per il 2023 e a 700 milioni per il 2024. Se invece il merger non dovesse avere luogo, Intesa stima comunque -a decorrere dal 2024- sinergie per 611 milioni (circa l’87% del totale previsto) di cui 156 milioni sui ricavi e 455 milioni sui costi; per il 2023, sempre senza fusione, il numero si assottiglierebbe a 573 milioni. Viceversa, i soci di Ubi che non aderissero all’ops rischiano di trovarsi in una posizione più scomoda. Secondo alcune banche d’affari, nel caso in cui l’offerta dovesse superare il 66,67%, Intesa potrebbe offrire un concambio peggiore dell’attuale, mentre non è garantito che la banca ne metta sul tavolo uno migliore per la successiva fusione nel caso in cui dovesse raggiungere una percentuale d’adesioni compresa tra il 50% e il 66,67% del capitale. (riproduzione riservata)
Fonte: