di Carlo Giuro

Oltre all’asset allocation adottata, alle differenze di rendimento tra le forme contribuiscono anche i divari nei livelli di costo. Un interessante aggiornamento viene riportato nell’ultima Relazione annuale della Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione guidata da Mario Padula. L’onerosità delle diverse forme pensionistiche può essere misurata dall’Indicatore sintetico dei costi (Isc) introdotto come elemento dell’informativa da fornire ai potenziali iscritti fin dal 2007. Il profilo dei costi è importante perché su orizzonti temporali di lungo periodo, come quelli tipici della previdenza complementare, anche piccole differenze producono un impatto rilevante sulla prestazione finale. Per esempio, ipotizzando che dopo 35 anni il capitale accumulato sia di 100 mila euro, un Isc del 2% invece che dell’1% comporta una riduzione del capitale di circa il 18% (ovvero 18 mila euro).

La Covip ricorda poi come nell’interpretazione dei valori dell’Isc occorre tener conto delle diversità strutturali tra le tipologie di forma pensionistica e delle caratteristiche delle opzioni di investimento offerte. I fondi negoziali sono organizzazioni senza scopo di lucro in cui soltanto i costi amministrativi e finanziari effettivamente sostenuti si riflettono sul valore della posizione individuale degli iscritti. Invece nelle forme di mercato, come i fondi pensione aperti e i pip (piani individuali pensionistici di tipo assicurativo), le spese che gravano sugli iscritti vengono determinate in via preventiva; tra questi ultimi, una quota cospicua è rappresentata dai costi relativi al collocamento dei prodotti, con livelli che dipendono dal canale distributivo utilizzato. Tali fattori, quindi, contribuiscono a determinare valori dell’Isc relativamente più elevati nei fondi aperti e soprattutto nei pip. Infatti dai dati Covip emerge che i prodotti più convenienti restano i negoziali: da un Isc medio dell’1,07% su due anni di partecipazione si scende allo 0,26% su 35 anni. Per fondi aperti e pip, l’Isc calcolato sui medesimi orizzonti temporali passa, rispettivamente, dal 2,37% all’1,24% e dal 3,87% all’1,83%. In generale, l’Isc dipende anche dalla linea di investimento, assumendo tipicamente valori più elevati per le linee a prevalente contenuto azionario. I comparti
azionari dei pip, i più costosi, registrano differenziali che sui due anni di partecipazione sono di circa 3,4 punti percentuali rispetto ai negoziali e di 1,8 punti rispetto ai fondi aperti. Pur riducendosi, i differenziali restano rilevanti anche su 35 anni: rispettivamente, 2,1 e 0,7 punti percentuali. Per i negoziali, già su livelli molto competitivi anche nel confronto internazionale, emerge una chiara relazione inversa fra i costi praticati e la dimensione, sfruttando economie di scala. Viceversa, per le forme che raccolgono adesioni individuali, in particolare per i pip, si riscontra un’ampia dispersione dei costi che si posizionano su valori elevati anche per prodotti con quote di mercato rilevanti in termini di patrimonio. In ogni caso, la maggiore onerosità e il collocamento di prodotti solo di natura individuale, sui quali non confluiscono di fatto contributi del datore di lavoro, non ha impedito ai pip di raccogliere un numero rilevante di adesioni. La Covip pubblica, sul proprio sito, gli Isc di ciascuna linea di investimento. (riproduzione riservata)

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