I trend raccolti nel report di Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo: perdono appeal le azioni
Boom dei fondi. Banche e consulenti ispirano fiducia
Pagina a cura di Antonio Longo

Agli italiani piace sempre più il risparmio gestito. E sono sempre più soddisfatti dei servizi resi dalla propria banca. Il primo obiettivo degli investimenti resta la «sicurezza» mentre sono in costante diminuzione gli azionisti. Questi alcuni degli spunti che emergono da «L’Italia che progetta: le sfide dell’economia, il reddito e le decisioni di investimento», indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani, elaborata da Doxa e basata su un progetto elaborato dal Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi e da Intesa Sanpaolo, che ha coinvolto oltre un migliaio di responsabili delle scelte finanziarie di famiglie del Belpaese, in possesso almeno di un conto corrente bancario o postale.
La fiducia nei consulenti e nelle banche. Il risparmio gestito ha attirato il 15,3% degli intervistati. Le prime due motivazioni di acquisto di fondi sono la professionalità dei gestori (34,8%) e la diversificazione del rischio (25,5%). Il risparmio gestito è privilegiato da chi ha un alto reddito (27,2%) e da chi è più istruito (31,7%). Il risparmio gestito «fidelizza», inoltre, i suoi investitori: sale al 39,5% chi ha più del 50% del patrimonio in fondi. Nel 2013 era il 18,7%. Il grado di soddisfazione verso tale forma di investimento è elevato: il 12,5% degli intervistati si dichiara molto soddisfatto, oltre il 70% abbastanza soddisfatto. Secondo la ricerca, anche nel 2019 si conferma la poca propensione al rischio degli intervistati, anche a costo di sacrificare il rendimento: infatti, quando impiegano il risparmio, gli intervistati continuano a mettere al primo posto l’obiettivo della sicurezza (62,2% a fronte del 59,6% nel 2018); al secondo posto si conferma il bisogno di liquidità (37,9%), segue il rendimento di lungo termine. Cresce anche la soddisfazione degli intervistati verso la propria banca, aumentano i clienti e si diversificano i servizi offerti. Il 90,2% è «molto» o almeno «abbastanza soddisfatto» della propria banca. Rispettivamente il 9,6% e l’11% degli intervistati ha stipulato in banca assicurazioni vita e danni, quattro anni fa tali percentuali si attestavano al 7,2 e al 6%.
Azioni in ribasso. Al cospetto di tale scenario, si spiega il dato secondo cui soltanto il 3,6% del campione ha comprato o venduto azioni nei 12 mesi precedenti l’indagine. Gli azionisti sono meno di un quinto di quanti operavano in Borsa nel 2003 (22%). E non diversificano, infatti solo il 4,7% ha più di 20 titoli. È, quindi, mutato l’approccio all’investimento azionario, sono in tanti coloro che ritengono che le azioni siano titoli ad alto rischio (40,8%). Cresce l’investimento guidato dall’esperienza e dalla competenza di un consulente (57,3%) mentre diminuisce la motivazione speculativa (4%).
Informazione finanziaria cercasi. Il rapporto evidenzia come risulti ancora sottovalutato il bisogno di un’istruzione finanziaria. Infatti, il 53,8% degli intervistati si è dichiarato non interessato all’informazione finanziaria, seppur il 56% incontra difficoltà nel capire il rischio degli investimenti, il 44,5% nello scegliere il momento più opportuno per effettuare un investimento, il 52,4% dedica a informarsi meno di un’ora alla settimana, il 33% non dedica tempo a reperire informazioni sui propri investimenti.
Prospettive di crescita. Le scelte di investimento degli italiani si collocano in un contesto in cui, come sottolinea il report, negli ultimi tre anni i bilanci delle famiglie hanno riacquistato parte della prosperità perduta durante la crisi. Si irrobustisce il ceto medio, con le tre fasce centrali di reddito del campione, che includono coloro che percepiscono dai 1.500 ai 3.000 euro al mese, che si attestano al 57,5% rispetto al 51,7% di tre anni prima, con circa un milione e trecentomila famiglie che sono rientrate a far parte del ceto medio o vi sono entrate per la prima volta. Altro dato evidenziato dal report: i risparmiatori (52%) superano di nuovo i non risparmiatori (48%), dopo aver toccato il minimo storico del 39% nel 2013. La percentuale di reddito risparmiata raggiunge nel 2019 il massimo storico (12,6% a fronte del 12% nel 2018 e 9% nel 2011). Per quanto riguarda il patrimonio, il 63% è rappresentato da case, gli intervistati dichiarano il possesso di una ricchezza finanziaria media pari 101 mila euro, la ricchezza immobiliare è, invece, pari a 169 mila euro. Nei dodici mesi precedenti l’indagine, il 6,7% del campione ha investito in case, il dato era pari all’8,7% nel 2018 e al 5,7% nel 2017. Ma soltanto una quota pari a circa il 3% lo ha fatto per acquistare o cambiare la propria prima casa, gli altri acquisti sono stati realizzati per ragioni collegate all’impiego ereditario o per avere un reddito aggiuntivo nella vecchiaia. Le aspettative pensionistiche risalgono, si fanno strada le assicurazioni per i rischi della salute e della longevità, solo il 13,7% del campione coinvolto nella ricerca dichiara di essersi dotato di un fondo pensione.

Gli investimenti degli ottimisti: dalla casa al commercio
Oltre un terzo del campione complessivo preso in esame dall’indagine, e poco meno del 60% degli appartenenti alla fascia di età compresa tra i 24 e i 65 anni, è costituito dagli «ottimisti», termine con cui il report definisce coloro che, nell’ultimo decennio, hanno deciso di effettuare particolari investimenti: in dettaglio, oltre il 23% ha acquistato, dopo il 2009, la prima casa, il 51% si è impegnato nella ristrutturazione di un immobile, l’8,3% ha avviato un’attività, in prevalenza un esercizio commerciale (31,8%), una ditta artigiana (24%) o uno studio professionale (22,6%), il 10,4% l’ha ingrandita; nello specifico, donne e giovani prediligono le attività nel commercio, i giovani (23-34 anni) sono i più attivi, in particolare, sul fronte delle start-up tecnologiche. Nella quasi totalità dei casi (98,3%) le attività operano prevalentemente o esclusivamente in Italia, in più di tre casi su quattro i risparmi personali o familiari sono la prima fonte di finanziamento, seguono la vendita di beni e attività o un’eredità, il prestito bancario e il prestito da amici o familiari. In circa il 41% dei casi l’attività è cresciuta o ne ha generate altre, solo in poco più del 10% dei casi si è ridotta o è stata chiusa. Oltre il 24% ha investito in almeno un corso di specializzazione o formazione: il 7% ha investito in un corso post laurea in Italia, il 6% in un corso universitario all’estero, il 2% ha ripreso un corso universitario abbandonato in precedenza, il 10,3% ha intrapreso corsi di specializzazione, l’11,3% di formazione linguistica, il 4,9% ha studiato per una professione nuova. In ambito lavorativo, il 45% del campione di ottimisti ha ottenuto un miglioramento in almeno un aspetto del suo lavoro negli ultimi dieci anni: al 36,9% è stato riconosciuto un incremento di retribuzione, per il 31% sono migliorati i contenuti delle proprie mansioni, il 28% ha visto incrementare il livello di responsabilità, per il 26,3% sono migliorati altri aspetti non monetari del lavoro; il 25,6% ha avuto una progressione di carriera in termini gerarchici. Dal punto di vista prettamente economico, gli ottimisti si ritrovano con 283 euro netti di reddito mensile in più e con una maggiore propensione al risparmio intenzionale rispetto a quello precauzionale. Premessi tali dati, in media il 43% degli intervistati si è dichiarato soddisfatto della scelta compiuta anche se, considerando la rilevanza dell’investimento sostenuto, il 36% non ha intenzione di ripetere a breve l’esperienza. Malgrado le difficoltà dell’economia, non sono quindi pochi coloro che hanno creduto nelle proprie possibilità e che hanno investito denaro ed energie per realizzare un progetto. «L’immagine che emerge dall’approfondimento è quella di un’Italia vitale, dinamica e proattiva, disponibile a mettersi, o rimettersi, in gioco contando soprattutto su se stessa e sulle proprie risorse» osserva Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, «sotto questo profilo, è interessante sottolineare che la ricchezza delle famiglie italiane risulta assai meno concentrata rispetto ad altri Paesi. Il 10% degli italiani più benestanti detiene, infatti, il 42,8% della ricchezza netta complessiva; lo stesso dato in Francia è pari al 50,6%, in Germania al 59,8%, negli Stati Uniti al 79,5%. Una minore disuguaglianza nella distribuzione dello stock di ricchezza accumulato nel tempo può collegarsi a quel fenomeno di forte coesione sociale che, pur in un’epoca di crescenti individualismi, ancora caratterizza i comportamenti degli italiani, specie nell’ambito familiare».
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