di Michele Damiani

Non c’è nesso di causalità tra vaccinazione ed autismo. Ad affermarlo, ancora una volta, è la Corte di cassazione, sesta sezione civile, con l’ordinanza 19699/18 depositata ieri. La Corte ha respinto il ricorso di un genitore volto ad ottenere l’indennizzo previsto dalla legge 210/92 (indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicazione di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni) in quanto lo stesso affermava che il danno era stato causato al figlio dalla vaccinazione obbligatoria pentavalente (difterite, tetano, pertosse, poliomelite ed haemophilus influenzae di tipo b) e antiepatite b somministrate nel 2001. La Cassazione ha confermato la decisione presa dalla Corte d’appello, che ha escluso la sussistenza della plausibilità biologica del nesso di derivazione tra vaccinazioni e malattia.

Questo sulla base della mancanza di un criterio di ragionevole probabilità scientifica. Il ricorrente contestava la motivazione portata dal consulente tecnico d’ufficio, considerandola insufficiente e contraddittoria. Secondo la Corte, «la relazione del consulente tecnico ha tenuto conto sia dello stato della letteratura scientifica sia delle caratteristiche del caso concreto, che non consentivano di ritenerle ipotizzabili, in considerazione della risonanza magnetica dell’encefalo che, seppur a distanza di anni, era risultata del tutto negativa; del fatto che non vi era stato nessun ricovero né visita neurologica per asserite reazioni allergiche ai vaccini e del fatto che la diagnosi di sindrome autistica era stata posta almeno due anni dopo». Secondo queste ipotesi, continua la Corte, «la causalità ipotizzata dal ricorrente è rimasta allo stadio di mera possibilità teorica».

Questo anche perché, alle argomentazioni del Ctu di secondo grado, «il ricorrente contrapponeva una diversa lettura delle medesime risultanze desunte da ulteriore letteratura scientifica che, pur manifestando l’acceso dibattito che da tempo si registra sulla questione, non rivela acquisizioni ed elementi decisivi al fine di confutare la soluzione da quella adottata». Per questo, la Cassazione ha respinto il ricorso per manifesta infondatezza e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese legali.

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