Ecco le strade per incrementare le riserve accumulate nel fondo pensione utili a confluire nella nuova Rendita integrativa temporanea anticipata
di Carlo Giuro

In ottica di pianificazione previdenziale una delle scelte da valutare nel nuovo scenario che si è determinato alla luce della legge di Bilancio 2018 è quella di cercare di irrobustire la possibile entità della Rita, ovvero la Rendita integrativa temporanea anticipata. Giova in via preliminare rammentare come possano beneficiare della Rita i lavoratori, pubblici e privati, iscritti a un fondo pensione, nell’ipotesi in cui perdano il lavoro e maturino l’età per la pensione di vecchiaia entro cinque anni oppure nella fattispecie di non occupazione per 24 mesi a patto che maturino l’età per la pensione di vecchiaia entro 10 anni. Pur se si tratta di un’espressione di riscatto frazionato temporaneo va rammentato come l’ordinamento riconosca un trattamento fiscale particolarmente favorevole con l’applicazione sulla parte imponibile di una ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15% ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di sei punti percentuali.

Andando ad esplorare le possibili strategie per incrementare la Rita la prima via può essere quella di destinare al fondo pensione eventuali contribuzioni incrementali nel corso del tempo . Va ricordato come nell’ipotesi in cui si versi oltre il limite di deducibilità fiscale dei 5.164,57 euro annui è possibile recuperare a scadenza il beneficio in sede di tassazione delle prestazioni a condizione che si dichiari però al fondo pensione entro il 31 dicembre dell’anno successivo al versamento l’importo dei contributi non dedotti. In questo modo la quota corrispondente di prestazione sarà esente. Nella medesima direzione potrebbe andare anche la destinazione del premio di produttività a previdenza complementare.

Va ricordato come in questo caso la normativa consenta contemporaneamente la possibilità di superare il limite di deducibilità annui dei 5.164,57 euro e la detassazione per l’importo corrispondente della prestazione finale. Ulteriore fonte di finanziamento è poi il Trattamento di fine rapporto (Tfr). Va ricordato come per gli assunti di prima occupazione anteriori al 29 aprile 1993 non sia obbligatorio il trasferimento totalitario del trattamento di fine rapporto essendo possibile nella misura stabilita dagli accordi o contratti collettivi e in misura non inferiore comunque al 50%. Potrebbe allora valutarsi, se consentito dalla contrattazione collettiva, un incremento della quota di Tfr versata al fondo pensione. Sempre in tema di Tfr va considerata anche la ipotesi un trasferimento, previo accordo con il proprio datore di lavoro, dello stock di tfr maturato. E’ possibile? Utile supporto viene fornito dalla risposta a quesito di maggio 2014 della Covip.

La Commissione oggi presieduta da Mario Padula evidenzia come disposizioni in materia siano state recate dalla Legge finanziaria per il 2008 con cui si è introdotto, nell’art. 23 del decreto legisltativo n. 252 del 2005, il comma 7-bis, al fine di definire le modalità di tassazione delle prestazioni di previdenza complementare relative a quote di tfr maturate in anni precedenti al 1° gennaio 2007 (ossia prima dell’entrata in vigore del decreto n. 252 del 2005) e devolute dopo detta data alla forma di previdenza complementare prescelta dal lavoratore. Tale previsione, inserita tra le norme transitorie del decreto n. 252 del 2005, osserva ancora l’Autorità, presenta quindi una circoscritta valenza fiscale in quanto si limita a chiarire il regime di tassazione applicabile alle quote di Tfr pregresso trasferite a previdenza complementare dopo l’entrata in vigore delle novità introdotte, anche sul piano della tassazione, dal citato decret 252 del 2005 qualora le stesse risultino maturate in data antecedente. Tali somme, in occasione dell’erogazione delle prestazioni, restano assoggettate ai diversi regimi fiscali in vigore nei periodi di maturazione del tfr consentito. Secondo la Covip la norma richiamata, espressamente riferita per le ragioni sopradette alle sole quote di Tfr pregresso maturate entro il 31 dicembre 2006, non pone preclusioni alla devoluzione a previdenza complementare anche del tfr pregresso maturato successivamente al 1° gennaio 2007. Per le somme della specie non sussiste infatti la necessità di una specifica previsione, in quanto si tratta di conferimenti comunque riferiti a somme maturate successivamente al 1° gennaio 2007, per le quali il relativo regime di tassazione è direttamente disciplinato dallo stesso decreto 252 del 2005.

Qualora questo stock di Tfr sia rimasto nella disponibilità dell’azienda, in quanto non obbligata al versamento al Fondo di Tesoreria Inps, si ritiene quindi che sia senz’altro possibile che lo stesso sia destinato alla previdenza complementare, previo accordo tra il lavoratore e il datore di lavoro. Con riferimento invece al Tfr accumulato in anni successivi al 1° gennaio 2007 che, per scelta esplicita dell’aderente, è stato mantenuto nel regime dettato dal Codice Civile in aziende con almeno 50 addetti, è stato versato dal datore di lavoro al cosiddetto Fondo di Tesoreria Inps. La Covip sottolinea allora come la competenza in materia sia dell’Inps che al momento non si è ancora espresso. (riproduzione riservata)

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